Bebé « rivoluzionario », rito e famiglia
Abstract
I riti che celebrano i cicli di vita e i ritmi sociali compaiono sempre nella psicoterapia, specie di gruppo. L’ipotesi di questa comunicazione riposa sull’idea che l’evento nascita invoca il rito perché la nascita costituisce uno sconvolgimento, una rivoluzione, tanto per il bebé appena nato che per la famiglia che accoglie nel suo seno il nuovo membro. A partire da una serie di vignette cliniche basate sull’approccio psicoanalitico dell’osservazione del bebé secondo E.Bick, l’autore mostra perché i processi che invadono i soggetti durante quello sconvolgimento richiedono un appoggio e un contenimento da trovare nei processi sociali di condivisione del rito.
I parenti attorno alla culla si ritrovano « in competizione » con gli altri per tenere un loro nuovo posto di fronte al bebé. Nel caso di una madre che ha avuto un parto molto difficile, la costruzione dei legami pulsionali con il bebé resta connotata dalla situazione iniziale di « violenza » dell’estraneità. Nell’esempio del bambino che talvolta si ritira, questa costruzione sembra l’eredità di un turbamento della madre, che, al di là di un ricordo attuale, rinvia ad una configurazione familiare specifica (fratria e padre), ma anche verosimilmente ad una problematica transgenerazionale. Negli ultimi casi il risorgere di un rito legato alla tradizione (il guaritore del tempo della schiavitù) indicherebbe la necessità per la madre di conservare una continuità con il suo lignaggio. L’evento nascita destabilizza a diversi livelli l’assetto dei soggetti nella famiglia. I riti permetterebbero di temperare la violenza collegando più storie, condensando i livelli intra, inter e transpsichici dei soggetti e associando la vita psichica del corpo e quella simbolica del gruppo.