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Presentazione del numero La Funzione Gruppale nei servizi di salute mentale tra clinica e ricerca

A partire dalla sua nascita  negli anni Quaranta,  i diversi adattamenti, le modifiche teoriche e le applicazioni cliniche della psicoterapia di gruppo hanno trasformato il suo approccio iniziale in una molteplicità di modelli teorici e di interventi ad essi ispirati. Concordiamo quindi con Yalom (2009) che preferisce parlare di terapie di gruppo nei vari setting ambientali e  mirate  a specifiche patologie: ad esempio dalla psicosi ai disturbi della condotta alimentare  ai gruppi di self help; dai gruppi condotti in carcere a quelli che si svolgono nel prestigioso studio privato; dai gruppi a impronta cognitivo-comportamentale, a quelli psicoanalitici, a quelli di psicodramma.
Per questo lavoro monografico di Funzione Gamma, la nostra scelta ha privilegiato il Servizio di Salute Mentale in Italia e i suoi corrispettivi all’estero come luogo in cui si declinano i diversi interventi di gruppo con i modelli a cui si ispirano.  Gli articoli raccolti offriranno al lettore la testimonianza del fatto che i servizi pubblici rispondono al mandato istituzionale della cura unendo però anche le preziose caratteristiche dell’apprendimento, del pensiero condiviso, della sperimentazione e della ricerca. E’ necessario aggiungere inoltre che “lungi dal costituire solo una cornice, l’istituzione entra nella vita del gruppo definendone caratteristiche, potenzialità e limiti specifici” (Patalano, 2014, pag. 33).
Partendo da queste premesse, abbiamo individuato nei lavori che seguono quattro aree tematiche ispirate alle caratteristiche sopra descritte dell’ambito pubblico e del gruppo che in esso viene condotto.

La prima sezione tematica riguarda nuove forme di apprendimento

L’articolo di Tarallini che descrive il proprio percorso di psicologa tirocinante è un esempio di come e di che cosa si può apprendere frequentando luoghi di cura con curiosità e rispetto. Il suo punto di vista è quello di un osservatore attento che arricchisce le sue conoscenze e il suo pensiero nello scambio con operatori e pazienti.
De Sanctis ci spiega come la supervisione in un Servizio psichiatrico ospedaliero può essere incontro, confronto e approfondimento della conoscenza del paziente e delle sue dinamiche più profonde e come  queste ultime si vadano   a innescare con quelle degli operatori. L’autore si pone e ci pone alcune domande critiche sull’uso degli psicofarmaci e sulla possibilità di rivitalizzare la relazione medico paziente anche con l’ampliamento dei propri modelli di intervento. A questo proposito ci introduce sinteticamente ad alcuni modelli non medici molto interessanti: la Psicoanalisi Multifamiliare, la Recovery e il Dialogo Aperto.
Infine, il racconto di Hinshelwood sul complesso rapporto tra psicoanalisi e psichiatria, pur partendo da lontano, resta assolutamente attuale, non perde mai la freschezza di un pensiero critico e ci aiuta a capire  che altro può fare la psicoanalisi nelle istituzioni che non sia solo cura del paziente. L’esperienza riportata riguarda un intervento pioneristico ma efficace di “formazione istituzionale e organizzativa” rivolta a giovani specializzandi in psichiatria di un grande ospedale psichiatrico inglese. L’intenzione dell’autore è quella di evitare il viraggio “medico e farmacologico” degli specializzandi e di tenere viva nelle loro menti la curiosità per i fenomeni intrapsichici, gruppali, intergruppali e istituzionali.

La seconda area tematica verte sulla possibilità di sperimentare percorsi di crescita e di ricerca

I due contributi del gruppo di lavoro di Bello e Baroni trattano la ricerca qualitativa e la ricerca-azione.  Gli autori rileggono, attraverso un lavoro di analisi del testo, le registrazioni audio di alcune sedute di due differenti dispositivi gruppali in una Comunità Terapeutica: un Gruppo di Psicoanalisi Multifamiliare e un Gruppo riabilitativo. La ricerca-azione e la metodologia utilizzata (Grounded Theory) restituiscono ai clinici e ai partecipanti la qualifica di protagonisti del lavoro svolto, nel rispetto reciproco dei ruoli (Bertini, 2012).
I risultati della ricerca esposti nel primo articolo hanno permesso agli autori di rivedere i propri interventi come conduttori di un Gruppo di Psicoanalisi Multifamiliare in chiave critica e di evidenziare la ricca complessità di contenuti che possono emergere in questo percorso di gruppo.
Nel secondo articolo, Bello e Baroni con gli stessi strumenti d’indagine seguono fin  dal primo momento la nascita e l’evoluzione di un gruppo riabilitativo con pazienti affetti da gravi disturbi psichiatrici. Questo contributo permette di osservare come il gruppo, inizialmente proposto dagli operatori, diventa lentamente patrimonio dei pazienti ed esprime l’identità creativa di una struttura. I pazienti  creano il  gruppo e progressivamente decidono come gestirlo e dove portarlo.
Il contributo di Bernabei et al. descrive un trattamento psicologico di gruppo a orientamento Cognitivo-Comportamentale con pazienti in fase di acuzie ricoverati in un Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura.  Gli autori hanno applicato un protocollo basato sulla Terapia degli Schemi Emozionali (EST) di Lehay (2009) e condotto una ricerca che ha coinvolto un ampio campione di soggetti. I risultati finali confermano l’importanza dello strumento gruppo anche con persone affette da gravi patologie psichiatriche e forniscono interessanti elementi di riflessione sull’efficacia del trattamento terapeutico realizzato.

La terza area tematica riguarda la condivisione del pensiero 

 

L’articolo di Perini propone una riflessione sull’apporto che la psicoanalisi, vista in questo caso come clinica dell’organizzazione, può fornire al miglioramento del benessere individuale, dei gruppi di lavoro e dell’istituzione stessa. Secondo l’autore, la psicoanalisi dovrebbe cimentarsi in un riassetto metodologico (rinuncia del setting abituale, superamento delle diffidenze per il dialogo interdisciplinare) e confrontarsi  con elementi di realtà organizzativa.

L’articolo di Musillo et al. esplora un campo delicato che è quello del rapporto tra un contenitore terapeutico (una Comunità) e un contenitore sociale (quartiere) molto degradato. Gli autori lavorano per portare la Comunità nel territorio, per superare gli ostacoli, le paure e lo stigma legati alla sofferenza mentale. La struttura diventa una risorsa per il territorio e il territorio diventa usufruibile ed esplorabile dai pazienti che risiedono nella struttura. Lo scambio è reciproco e l’operatore non può più nascondersi dietro il suo ruolo ma diventa un agente sociale, un mediatore tra il dentro e il fuori.

L’articolo di Gold riflette sulla distruttività e creatività insite nel singolo come nel gruppo e nell’istituzione, e ci invita al superamento di una posizione schizo-paranoide che porta a pensare che tutte le cose “brutte” vadano evitate e combattute. Gold  intende l’istinto di morte nelle sue quotidiane e civili manifestazioni, non come peccato originale, ma come parte di un processo evolutivo psicologico e inevitabilmente biologico. Il suo invito quindi è quello di confrontarsi con l’aggressività e la distruttività che spesso i pazienti riversano sui curanti e sulle istituzioni provando ad attraversarla e a farsi bagnare.

Infine, il quarto tema è incentrato sulla cura della sofferenza mentale

 

De Toma illustra una particolare attività clinica fuori le mura, quella della montagna terapia. Portare la cura delle patologie psichiatriche fuori dalle mura istituzionali è una grossa sfida che pone il paziente e l’operatore in una posizione paritetica e li  confronta con le difficoltà del movimento e della vicinanza fisica ed emotiva.  Al paziente viene offerta l’opportunità  di esporsi a un mondo esterno quasi sempre vissuto con angoscia e persecuzione, ma questi sentimenti vengono tollerati, e a volte superati, grazie al ruolo attivo e incoraggiante degli operatori e alla condivisione di un’esperienza ecologica. In questo contesto, l’operatore è più fragile rispetto al setting classico di cura, ma può cogliere un’opportunità unica se riesce a tollerare le paure e a disporsi all’incontro con accettazione e tolleranza.
L’articolo di Bello et al. ci porta nel Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura (SPDC), dove spesso il paziente viene condotto contro la sua volontà perché rifiuta le cure o perché la sua sofferenza è ingestibile altrove. Gli autori ci spiegano la complessa e vitale organizzazione istituzionale e ci mostrano come organizzano la loro azione terapeutica gruppale ponendo attentamente la persona al centro del pensiero e  dell’azione. Il loro intervento gruppale mira a  diventare un punto di riferimento per i pazienti e per tutti gli operatori del reparto.
Il lavoro di Sammartano e Di Leone ci permette di entrare direttamente nella psicoterapia di gruppo per pazienti non istituzionalizzati, ma comunque gravi. Gli autori focalizzano la loro descrizione sui processi della psicoterapia di gruppo a termine e su alcune dinamiche di un Centro di Salute Mentale,  analizzando con precisione quello che accade nei rapporti tra operatori, negli invii e nei vari passaggi istituzionali. Infine prendono in esame anche le difficoltà e le resistenze che i pazienti esprimono di fronte alla transizione dal rassicurante e privilegiato rapporto terapeutico uno a un,  a quello gruppale.
Sulla stessa scia si pone l’articolo di Godfrey e Smith che lavorano in un servizio pubblico di psicoterapia londinese. Avendo in mente il pensiero di Bion e l’approccio Group Relations del Tavistock  Institute di Londra,  gli autori descrivono gli incastri dei servizi paralleli e della loro interdipendenza, e di come la loro organizzazione influenza sia la psicoterapia di gruppo che i pazienti e gli operatori. La descrizione di un caso clinico esemplifica  esaustivamente il loro pensiero.
Da un altro vertice teorico, quello lacaniano, l’articolo di Gale affronta le dinamiche di cura gruppali in una Comunità Terapeutica inglese. Partendo dal presupposto che la struttura mentale si forma nei primi anni di vita e che non può essere cambiata, e che i sintomi rappresentano il modo col quale la persona cerca di ordinare la propria esperienza di vita, la Comunità Terapeutica offre all’individuo con disturbi psicotici la possibilità di raggiungere una stabilizzazione attraverso l’identificazione con un ruolo nella stessa Comunità (referente di attività, cuoco) che crea un legame sociale.  Gli operatori, mantenendo una posizione analitica, cercano di “stare con” e di “camminare accanto” al paziente e alla sua sofferenza, evitando di assumere un ruolo gerarchico.
Hinshelwood e Mingarelli guardano al mondo adolescenziale e alle strutture terapeutiche comunitarie dedicate agli adolescenti in difficoltà. L’adolescenza con le sue caratteristiche di passaggio evolutivo e i suoi rituali rappresenta normalmente una sfida al mondo genitoriale e adulto; questa sfida può diventare dirompente quando si esprime attraverso pensieri e comportamenti che richiedono un intervento terapeutico. Gli autori ci aiutano a ragionare sui rischi di comportamenti anti-terapeutici che il singolo o il gruppo degli educatori di una Comunità possono mettere in atto.
Per concludere, aggiungiamo che questo numero nasce dalla creatività e dall’iniziativa di Stefania Marinelli, che ha  avuto l’idea di affidarcelo dopo aver conosciuto uno dei curatori durante una lezione da lui condotta al suo corso universitario. A lei e ai colleghi e amici che lo hanno reso possibile vanno tutti i nostri più calorosi ringraziamenti.

Bibliografia

Bertini, M. (2012). Psicologia della Salute. Milano: Raffaello Cortina Editore.
Fava, E., Masserini, C. Efficacia delle psicoterapie nel servizio pubblico. Milano: Franco Angeli, 2002.
Patalano, R. Istituzioni e servizi. Un’introduzione storico-critica. In Neri, C., Patalano, R., Salemme P. (a cura di). Fare gruppo nelle istituzioni. Milano: Franco Angeli, 2014.
Yalom, I. D., Leszcz, M. Teoria e pratica della psicoterapia di gruppo. Torino: Boringhieri, 2009.