Sognare l’impensabile, narrare il non-ricordo. I precursori della fiaba come “oggetto mediatore” e come “sogno condiviso” nella psicoterapia delle psicosi
Abstract
Nello scritto si affronta il problema di come rendere possibile la comunicazione nella psicoterapia delle psicosi infantili, laddove le capacità simboliche sono fortemente compromesse o mai strutturate e il Sé è estremamente vulnerabile, privo di un senso della temporalità, ed imprigionato in un “tempo circolare” che sembra non conoscere articolazioni e risoluzioni possibili.
Attraverso una breve presentazione clinica, viene proposta l’idea di un “oggetto mediatore” – sintesi del contributo esiguo e caotico del paziente e della rèverie dell’analista – sul quale poter fondare una “comunicazione transizionale”, che non imponga precocemente una separatezza (implicita anche nell’interpretare) che il piccolo paziente psicotico non può ancora tollerare.
Viene quindi presentata una storia clinica nella quale la funzione di “oggetto mediatore” è svolta da una fiaba d’invenzione, progressivamente imbastita “a quattro mani” a partire dai primissimi “precursori” della fiaba stessa, e da un unico “mostro onnipresente” che colonizzava, imprigionandola, ogni potenzialità di crescita psichica e di sviluppo di una competenza simbolica nel bambino. Viene mostrato come la fiaba così costruita nella relazione comincia ad assumere per il bambino la valenza di un “sognare condiviso”, laddove una capacità di elaborazione secondaria autonoma era ancora inaccessibile per lui.
Viene infine esplorata la narrazione di una fiaba in quanto evento relazionale “transizionale” e complesso, ed i diversi livelli di funzionamento che vengono coinvolti in modo strutturante nella relazione del bambino, non soltanto con la fiaba stessa in quanto “oggetto mediatore”, ma anche e soprattutto con lo story-teller in quanto “soggetto mediatore”.