La psicoanalisi può essere considerata una scienza? Intervista con Robert D. Hinshelwood – I parte

Domanda. Dr. Hinshelwood, con il suo arrivo a Roma il prossimo 3 e 4 Ottobre 2014, si aprirà un dibattito attorno ad una questione che a tutt’oggi, è sempre più di rilievo per il campo psicoanalitico: la psicoanalisi può essere considerata una scienza? Nel suo libro, Ricerca nel setting. Studi sul singolo caso: soggettività e conoscenza psicoanalitica(Franco Angeli, 2014), Lei punta a quel tentativo Freudiano che dura da più di un secolo, ed incontra la propria chiave risolutiva nella pratica clinica.

Qual è la ragione che l’ha spinta a sviluppare un discorso sugli aspetti tipici della ricerca in psicoanalisi? 

R.D. Hinshelwood.  Bene, forse da sempre mi sono interessato alle menti umane e a quello che possiamo sapere di ciascuno ed in generale alla mente, ma nel corso della mia formazione clinica a partire dal 1970 in poi, è stata la pratica psicoanalitica a dominare il mio interesse. Ho lavorato anche nel Servizio Pubblico, nella Psichiatria, e mi sono occupato di come le prospettive della psicoanalisi avrebbero potuto contribuire a migliorare la vita dei pazienti psichiatrici più gravi.
Tuttavia prima di formarmi come psicoanalista, ero un medico, e la medicina è di enorme importanza per tutti noi: ad un dato momento, tutti abbiamo bisogno dei suoi giovamenti. Presi ad occuparmi di come lavori la scienza, ed in quel periodo uno dei miei professori tra i primi neuro scienziati, J.Z.Young, è stato per me di grande ispirazione, e quando fui prossimo a divenire psichiatra ebbi curiosità per la mente come quel che è connesso al corpo e al cervello. Mi sono a lungo interrogato circa il modo in cui ciò sia possibile: questa è la questione rimasta insoluta.
Non appena sono diventato psicoanalista, è diventato ovvio che quel tipo di conoscenza che avevamo della mente fosse diversa da quella relativa al cervello e al corpo, e che la strada con cui giungiamo ad acquisire la conoscenza sia in ogni caso, diversa.
Ci sono molte buone ragioni per mettere a paragone la psicoanalisi con le scienze naturali ed un altrettanto gran numero, per scoprire che sono un po’ diverse, anche se simili.
Quando Breuer applicò l’ipnosi ad Anna O e scoprì che i suoi sintomi scomparivano dopo che lei era riuscita a rivelarne i sentimenti, stava facendo quello che fa ogni scienziato o medico: Breur operò un intervento sperimentale (l’abreazione ipnotica) e ne osservò il risultato ma quando Freud prese ad analizzare i propri sogni, diede inizio a qualcosa di abbastanza diverso. Forse non realizzò quanto lo fosse ma cominciò ad occuparsi di costruire significati. Il suo criterio non era più quello di uno scienziato: non fece un’interpretazione del suo sogno e osservò poi, quello che accadde. Il suo criterio consisteva nell’individuare i temi, quei temi che dunque avevano costituito il significato o i significati del sogno ed il criterio specifico era la coerenza di significato. Qualora fosse riuscito a trovare il tema che correva attraverso tutti gli elementi del sogno, tale tema avrebbe dato origine ad un significato coerente e sarebbe stato l’interpretazione del sogno. Tale processo è abbastanza diverso dall’esperimento dello scienziato in cui il criterio specifico è un cambiamento significativo.
Questo contrasto (tra cause e significati) divenne forse più evidente, soprattutto in America quando clinici come Roy Schafer e Donald Spence parlarono nello specifico, di tradizione ermeneutica. Ciò sembrò ottenere l’appoggio di filosofi di alto livello come Habermas: essi andarono proprio contro la credenza di Freud che la psicoanalisi fosse una scienza naturale al pari di ogni altra.
Mi scoprii a disagio nel dover decidere tra i due. Iniziai a realizzare, che si sarebbe potuto vedere in che modo, entrambi gli approcci scientifico ed ermeneutico, avrebbero potuto conciliarsi. Credo che ciò fosse stato particolarmente stimolato dal lavoro dei filosofi inglesi, Jim Hopkins e Richard Wollheim, in cui mi ero imbattuto, e i quali si chiedevano se i significati potessero essere anche cause. Divenne ovvio che reperire un significato in una seduta, fosse l’equivalente del fare un intervento all’interno di un esperimento scientifico.
Ci si aspetta che il significato produca un effetto in una seduta psicoanalitica, che provochi un grado di comprensione ovvero sollevi la rimozione o integri una scissione, etc.: così cominciai ad interessarmi al come ciò si sarebbe potuto formulare in termini strettamente logici come un esperimento scientifico ma solo come un esperimento scientifico poiché i significati non sono cause fisiche nel mondo fisico, e dunque è necessario prestare attenzione nel rispettare la differenza.

Domanda. In questi ultimi anni, le psicoterapie brevi hanno visto una grande diffusione: c’è una sorta di conformità tra il modo di leggere la sofferenza e di risolvere i sintomi, e l’imperativo della tecnica promosso dal discorso della nostra società. Ciò nonostante, la psicoanalisi sopravvive ancora, grazie all’importanza riconosciuta alla soggettività che nel suo libro vive nello spazio dato all’interpretazione dell’analista e alla sua presenza col paziente, a difesa del singolo caso che è incarnato da ognuno e da ogni seduta, come un parametro che è necessario prendere in considerazione non più come un limite ma come ciò che rende possibile una ricerca in questo campo.
In “Vie della terapia psicoanalitica”(1918), Freud ha scritto della necessità per la psicoanalisi, di “legare in larga misura il puro oro dell’analisi con il bronzo della suggestione diretta” se vuole potersi garantire un futuro.
Lei, cosa pensa del presente della psicoanalisi? E che cosa è necessario fare per tenerla in vita? 

R.D. Hinshelwood. Credo che Freud avesse ragione nel dire che avrebbe potuto esserci giovamento da interventi piuttosto ordinari che non prestano troppa attenzione diretta all’inconscio. Esiste una prova sperimentale del fatto che in seguito a modalità semplici di trattamento psicologico, possano verificarsi effetti di giovamento: secondo Truax e Carkuff (1967) si tratta in realtà dei principi di empatia, calore umano e genuinità. Ritengo che tali principi abbiano inevitabilmente un impatto benefico e non solo nella terapia ma probabilmente nella vita, nella maggior parte degli incontri.
La visione psicoanalitica implica che ad essere inoltre importante, sia un fattore di comprensione, e ad esserlo ancora di più, sia una comprensione a livello dell’inconscio. Dunque probabilmente c’è una complessa matrice multi-fattoriale di aspetti che influiscono nel corso di ciascuna terapia o analisi.
La mia opinione è che non dovremmo essere in competizione e necessitare di ammettere l’efficacia di metodi che non aprono all’inconscio, anche se in alcuni casi quelli così chiamati resistenti al trattamento o spesso oggi definiti personalità borderline o disturbi gravi di personalità, potrebbe essere necessario accedere ad impulsi o fantasie inconsce. Ad ogni modo, se in tali casi difficili, desideriamo indagare l’inconscio e di certo per scopi di formazione, allora la psicoanalisi rappresenta probabilmente, il miglior metodo che abbiamo a disposizione.
Tuttavia uno dei problemi attuali rispetto la conoscenza psicoanalitica, è l’eccesso di teorie diverse: la collezione di tutte le teorie psicoanalitiche, è stata definita Torre di Babele e rivendicazioni vengono avanzate dai diversi psicoanalisti sulla base di poche dimostrazioni delle teorie stesse .
Se siamo a conoscenza del fatto che alcuni fattori non psicoanalitici siano capaci di causare qualche giovamento, come facciamo allora a sapere che le rivendicazioni di giovamento di una particolare teoria dell’inconscio, non siano causate da uno di questi altri fattori non diretti all’insight.
Abbiamo bisogno di sapere quando è una comprensione psicoanalitica dei significati inconsci ad essere efficace, e quando lo è invece qualcos’altro.
In conseguenza di ciò, ho dunque pensato che avremmo dovuto sviluppare un metodo rigoroso per affrontare questa distinzione: una distinzione tra l’insight nell’inconscio da un lato, ed i fattori benigni di empatia, calore e genuinità, dall’altro. Questo è stato il lavoro dell’ultimo libro “Ricerca nel setting” (Franco Angeli, 2014), in cui ho provato a mostrare in che modo possiamo operare una distinzione tra l’effetto di un’interpretazione dell’inconscio e l’effetto dovuto ad un qualche altro fattore.

Domanda. Infine Dr. Hinshelwood, che cosa dovremmo aspettarci dalla conferenza che terrà a Roma tra poche settimane? Le sto chiedendo qualche anticipazione, solo per i lettori di Funzione Gamma, e terrei a ringraziarla di aver accettato di rilasciare questa Intervista che introduce il Suo arrivo in Italia. A presto, a Roma.    

R.D. Hinshelwood. Ho fatto riferimento prima ad alcuni psicoanalisti che ritengono che nell’illustrare una teoria, tale presentazione ne diventi allora anche una prova. Penso che non sia il caso. Possiamo illustrare ogni sorta di cose: la forma delle nuvole appare quella di un cane ma è irrilevante; una costellazione di stelle si presenta come Orione il predatore ma in realtà non è ciò che sembra; possiamo dire che il lato del quadrato di un triangolo equivale alla somma dei quadrati degli altri due lati e possiamo dimostrarlo con un dato triangolo ma non è una dimostrazione che verifica l’asserzione. Ci sono alcune condizioni che devono essere applicate: il triangolo rettangolo deve avere un angolo di 90°.
Ritengo che abbiamo bisogno di essere chiari in psicoanalisi e che occorra avere più di un esempio dimostrativo: per acquisire “prove” abbiamo bisogno di essere molto più chiari circa quali dati contino come tali.
Dunque la conferenza che ho intenzione di tenere a Roma in Ottobre, vuole trattare la modalità con cui i dati vengono scelti dal processo di una seduta psicoanalitica.
Ciò risulta difficile quando il nostro campo di studi è un campo soggettivo ovvero quando ci troviamo ad osservare un’esperienza soggettiva del paziente che fondamentalmente non è misurabile e non solo, ma nell’osservare tale esperienza, dobbiamo utilizzare la nostra esperienza soggettiva per poter identificare che cosa egli stia sperimentando. I problemi della soggettività sono doppi: il campo è l’esperienza soggettiva del paziente, e per giunta anche lo “strumento” per osservarlo- le nostre menti ed esperienze-, è di natura soggettiva.
Spero di riuscire a mostrare in che modo sia possibile superare tali difficoltà e selezionare parti di materiale che possano servire come dati rilevanti: utilizzando il modello logico che è simile a quello scientifico, suggerisco che sia possibile mostrare quando il materiale indica che l’interpretazione è corretta e la teoria su cui essa si basa, rilevante. Oltretutto usando tale modello, è possibile mostrare quando la teoria dietro l’interpretazione non sia affatto corretta, sebbene il paziente operi in qualche modo, un cambiamento: una specie di falso positivo.
La ringrazio per l’opportunità di aver potuto rispondere ad alcune delle sue domande, nonostante questi temi siano complicati e non abbia potuto trattarli in modo scrupoloso come richiederebbero.
Tuttavia spero che tali questioni interessino i lettori di Funzione Gamma poiché come ho cercato di esporre, è urgente che la psicoanalisi trovi metodi migliori per mettere a confronto tutte le sue teorie.

R. D. Hinshelwood, è psichiatra e psicoanalista. Membro del Royal College of Psychiatrists e della Società Psicoanalitica Britannica, è stato Direttore Clinico dell’Ospedale Cassel di Richmond. Attualmente ricopre il ruolo di Professore di Psicoanalisi del Centro per gli Studi Psicoanalitici dell’Università di Essex. E’ inoltre autore di numerosi testi di psicoanalisi, tra cui ricordiamo pubblicati nelle edizioni italiane: Ricerca nel setting. Studi sul singolo caso: soggettività e conoscenza psicoanalitica (Franco Angeli, 2014); Osservare le organizzazioni. Ansia, difesa e cultura nei servizi sanitari (Ananke, 2005); Cosa accade nei gruppi (Raffaello Cortina, 1989).

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