L’agorafobia è donna? Alcune riflessioni sul rapporto tra sindrome agorafobica e femminilità
Abstract
Le concettualizzazioni psicoanalitiche più recenti, relative alla genesi dell’agorafobia, hanno sempre più illuminato – spingendosi oltre il contributo edipico di freudiana memoria – i gravi deficit strutturali dell’Io, la presenza, cioè, di quel “vuoto” nella struttura di base quale vero nucleo problematico (Milrod, 2007; Cartwright, 2006; La Scala, 2010). Tali teorie concorrono, così, ad avvalorare la lettura della sindrome agorafobica come difesa da angosce innescate dalla “separatezza”, quindi come “patologia dell’identità e del limite”. Partendo da questa prospettiva, in questo articolo ci si sofferma in particolare sul legame tra agorafobia ed identità femminile. Il processo di costruzione del senso di sé come essere separato incontra difficoltà tutte peculiari connesse all’appartenenza al genere femminile. L’identità femminile si struttura, infatti, all’interno della relazione primaria con la madre, dalla quale è difficile differenziarsi per ogni donna poiché allo stesso tempo è necessario identificarsi con lei. Tale percorso per sua stessa natura, dunque, <<accidentato>> (Nunziante Cesaro, 1994, p. 8), può talvolta non approdare ad una solida conquista identitaria, ma esitare nel dolore psichico e nella patologia.