Perché la psicoanalisi nel tempo della povertà?
Abstract
Il gruppo psicoanalitico è caratterizzato da un lavoro auto-rappresentativo: tutto ciò che avviene nel gruppo è materiale per la messa in senso del gruppo stesso. Pensieri, affetti, espressioni somatiche, suoni, rumori, etc. tendono a formare un tessuto multidimensionale che con felice espressione, Francesco Corrao ha chiamato <<contesto autointerpretantesi>> (Corrao, 1979). In tal senso il gruppo non può che essere delimitato operazionalmente dal setting che ne stabilisce i limiti ma è al contempo in relazione dinamica con i livelli di realtà nei quali è immerso.
In questo lavoro tento di individuare alcuni momenti di fondazione del modello nato dalle esperienze di Bion per mettere in evidenza, nel caso di gruppi attivi in contesti istituzionali, l’importanza presente sin dalle origini, di una prospettiva di campo in cui l’atto clinico non sarà mai un’operazione tecnica avulsa dall’istituzione ma parte integrante di essa.
In un’istituzione “malata” è del tutto improbabile che possano nascere e svilupparsi gruppi “sani”. La funzione degli psicoanalisti in tempi caratterizzati da una profonda crisi dell’umano, è analoga a quella dei poeti della poesia di Hölderlin che dà titolo a questo lavoro: deoggettivare la realtà dalle sue dimensioni desimbolizzanti, tollerando il buio e l’assenza di senso, in attesa che uno spiraglio di luce permetta di intravedere nuove strade e possibilità di sviluppo vitale.