Le psychodrame psychanalytique de groupe. René Kaes et al. (1999)
“Ciò che vuoi mostrare, ciò che non può fare segno e acquisire un senso, bisogna giocarlo e parlarne”.
La parola, il gioco e il gruppo: i tre cardini intorno a cui ruota l’esperienza dello psicodramma psicanalitico di gruppo. La parola, enunciatrice delle regole del gioco, lo istituisce e lo rende possibile. Il gruppo, nelle sua possibilità associativa, permette l’elaborazione di esperienze traumatiche e di movimenti pulsionali, “là dove la parola fa difetto”, secondo l’espressione dell’Autore. Lo scenario che ne deriva è la costruzione di uno spazio di figurazione che mette in moto il lavoro del preconscio.
Questa è l’ossatura dell’esperienza ormai decennale della teoria sullo psicodramma di René Kaes e dei suoi collaboratori del gruppo di psicoanalisti francesi del CEFFRAP (Cercle d’études françaises pour la formation et la recherche active en psychologie), finemente esposta ed elaborata in modo articolato in questo libro. L’introduzione e i primi due capitoli sono curati rispettivamente da A.Missenard e R.Ka s su “Lo psicodramma del piccolo gruppo con psicoanalisti” e “La parola, il gioco e il lavoro del preconscio nello Psicodramma psicanalitico di gruppo”, da cui abbiamo tratto la citazione.
Sono le arti figurative, ed in particolare il cinema a suggerire ad A.Missenard l’analogia tra la situazione gruppale interna e il film di W.Allen “Harry a pezzi”. I “pezzi” servono da rappresentazione degli stati interni del protagonista che non sono percettibili all’evidenza, ma scompongono una presunta unità psichica, quando appaiono nelle variegate relazioni dei tanti personaggi che scompongono questa unità. Scenario che fa interrogare l’Autore non solo sull’analogia con lo psicodramma, dove appunto possono essere visti e rappresentati in una scena prestabilita, ma anche sull’aggettivazione di “psicoanalitico”: non è sufficiente che siano degli analisti a condurre il gruppo per qualificarlo come tale, ma è l’interrogativo sul transfert a stabilire la differenza tra la cura individuale e il dispositivo di gruppo. Quest’ultimo, sperimentato e analizzato nel corso del tempo da psicoanalisti che, attorno a D.Anzieu negli anni sessanta, si sono riuniti in questa ricerca, nata nel dopo guerra sull’esplorazione dei fenomeni del piccolo gruppo. In particolare di alcuni psicoanalisti francesi (Monod, Testemale) sullo psicodramma moreniano, esportato oltre oceano negli Stati Uniti dallo stesso Moreno.
Fase storica, riportata in dettaglio nell’introduzione, ed un’evoluzione della teoria hanno messo in luce le categorie principali riguardanti il transfert e la resistenza, l’identificazione e il processo gruppale, la funzione del monitore all’interno dello psicodramma con psicoanalisti. L’Autore descrive questa esperienza, articolata al rapporto tra la situazione individuale e i fenomeni di gruppo in cui lo psicodramma trova la sua funzione specifica e la sua ragione d’essere. Il passaggio dall’analisi individuale al gruppo è considerato, come tutti i cambiamenti nella storia del movimento analitico, come una trasgressione, legata ad un senso di colpevolezza nel “trasferimento” dell’uso analitico fuori della cura classica.
Il gruppo descritto è quello di una decina di analisti che si riuniscono con altri due per delle sessioni che comportano una successione di sedute, regolate nel tempo. All’inizio i due analisti danno le regole del funzionamento del gruppo: per gli psicodrammatisti vale l’astinenza, per i partecipanti è necessaria l’espressione verbale associativa, a cui farà seguito la costruzione di un tema che sarà giocato e poi elaborato verbalmente. L’insieme dell’esperienza è retta allora da una struttura che provoca i fenomeni gruppali, “urgenza identificatoria e risonanza fantasmatica”, tra i principali: al centro e all’origine c’è l’atto di fondazione del gruppo, operato dai due analisti, che rappresentano anche l’istituzione di cui fanno parte; atto che non è senza violenza, come le fondazioni delle città. Le regole e l’apparato teorico-clinico degli analisti costituiscono il contenitore nel quale si generano questi effetti di gruppo e gli scambi che producono.
Il quadro che si viene a delineare è dunque un luogo psichico che, mediante la capacità di “reverie” degli analisti, può produrre un effetto di simbolizzazione degli eventi. I partecipanti ne costituiscono all’inizio uno sfondo indistinto e formano il gruppo come “oggetto psichico”, ancora indiviso nei suoi componenti. Un’eterotopia asimmetrica tra la storia e l’individualità dei fondatori del gruppo, i loro legami, e i partecipanti che non si conoscono tra loro e non hanno ancora legami stabiliti. Un tragitto da percorrere dall’inesistenza fantasmatica all’esistenza generatrice del transfert, che punta sul riconoscimento dei partecipanti a partire dalla loro iniziale anonimità. Si instaura così la dinamica del transfert sugli analisti, come effetto della struttura, già presente come “pre-transfert” al momento della richiesta di partecipare ad un gruppo. I fenomeni di gruppo convogliano la relazione tra analisti e partecipanti sull’oggetto gruppo, oggetto investito dai primi come fonte di elaborazioni a venire. Transfert e contro-transfert sono legati dalla dinamica tra i due analisti, nominata inter-transfert, legame preconscio-inconscio che determina ed è determinato dall’evoluzione dei fenomeni del piccolo gruppo. L’Autore porta un esempio al proposito sul tema della “cancellazione”, sentimento condiviso all’epoca con la coterapeuta, che aveva avuto effetti di “colla” sulla questione di coppia portata dal gruppo.
I fenomeni psichici gruppali si presentano come espressione di una totalità articolata nelle sue varie componenti, in analogia ad un organismo composto dinamicamente dai suoi membri. Questi fenomeni riguardano l’individuo, il legame con gli altri e il gruppo nella sua specificità. Come un “plasmodio”, le cellule pure specifiche nella loro individualità, condividono con altre elementi comuni ed insieme formano un gruppo distinto. Così nel piccolo gruppo: l’indistinzione provoca “un’urgenza identificatoria” che mette in moto i meccanismi dell’incorporazione, della proiezione e dell’identificazione proiettiva. “L’illusione gruppale” si manifesta come fenomeno che, nel movimento di idealizzazione delle rappresentazioni del gruppo, lega i partecipanti nell’attività comune. Da qui “la risonanza fantasmatica” che riattualizza i fantasmi originari, come ritrovamento del marchio che caratterizza il soggetto nella sue relazioni personali storicizzate.
Dimensione individuale e dimensione gruppale si incontrano attraverso questi fenomeni in un aspetto trasferale comune, quello del riconoscimento a venire nel piccolo gruppo, investito dagli analisti. Scambio primario che riguarda la relazione con l’altro da sé. Ma questo incontro, se da un lato lega, dall’altro “decompone” la psiche negli elementi che forniscono gli scambi, facendo apparire le identificazioni e gli oggetti in gioco, sotto una forma dispersa. Questo effetto di “diffrazione” è regolato dal transfert centrale, originario, sugli analisti, che, a motivo del quadro che hanno costituito, ne possono favorire gli scambi e ottenerne delle prove, al fine di far evolvere la situazione gruppale, indistinta, verso un’individualizzazione della situazione fantasmatica. Se il gruppo tiene, i fenomeni che lo attraversano possono trasformarsi in relazione al transfert con gli analisti. L’autore produce degli esempi di questa tenuta in rapporto ad alcuni partecipanti, considerati come “sintomi” che evidenziano questi fenomeni gruppali, attraverso le “imago” che mettono in moto i fantasmi originari: la rivalità contro il capo-fondatore, la madre “trattenuta”, la follia distruttrice, sono altrettanti esempi , riportati nel saggio, di attacco al legame portati da partecipante, ma concernenti l’insieme della dinamica trasferale.
La particolarità dello psicodramma non è solo causata dalla “presa di coscienza” di questi fenomeni, che illuminano anche il funzionamento psichico di ciascuno, ma una modalità di messa in atto di questi scenari che non hanno trovato una via nella parola. Il dispositivo dunque si avvale di tre tappe: la scelta di un tema, messo a punto in comune, il gioco e l’elaborazione successiva, verbale. Nessuno è costretto a giocare, lo spazio del gioco è separato da quello della verbalizzazione, chi gioca fa “come se”, si mantiene dunque a livello immaginario del personaggio rappresentato. La scelta del tema è un lavoro di gruppo sugli ostacoli inconsci-preconsci che ne derivano, è la costruzione di un corpo comune, anche se tutti non vi collaborano o vi si oppongono. Il gioco parte dall’iniziativa individuale, che divide il gruppo tra giocatori e non giocatori, attualizzando i temi soggiacenti al discorso e indicandone la dimensione fantasmatica, prodotta dal gruppo stesso. La sequenza del gioco fa prevalere le regole dell’immaginario, come abbiamo detto, attraverso il personaggio rappresentato, mettendo in luce gli oggetti del mondo interno attraverso la dinamica degli scambi gruppali, che risultano così simbolizzati. L’azione del gioco è sostenuta dai corpi in movimento, che inviano messaggi non verbali che si legano ai temi preconsci; gesti, sguardi, timbro della voce mobilitano affetti, idee e pensieri , che riportano alla relazione precoce madre-infans. Gli effetti di seduzione narcisistica riguardano questi aspetti nella dimensione del transfert verso gli analisti.
Un’ultima annotazione interessante: l’Autore tratta del “superamento” del transfert come di un effetto dovuto al rovesciamento della violenza originaria degli analisti sugli analisti stessi da parte dei partecipanti. Una specie di “Chi la fa l’aspetti!”, come dice un proverbio, non sempre veritiero. Essendo gli psicodrammatisti nella condizione di mettere in luce “i fantasmi organizzatori” attraverso il discorso di gruppo che si dipana, ne favoriscono il riconoscimento e l’elaborazione (impotenza/onnipotenza, esistenza/non esistenza) che, attraverso la messa in scena, li supera, permettendo ad ognuno di cogliersi nelle istanze gruppali e individuali che si presentano.
Questi elementi teorici sono ripresi e sviluppati nel magistrale articolo di Kaes, che ne illumina le conseguenze cliniche e approfondisce la dinamica della struttura a partire dai fenomeni gruppali. Lo spazio individuale e quello del gruppo, per quanto eterogenei sono strettamente articolati e articolabili. Le due correnti dello psicodramma psicanalitico francesi, quella dell’Autore che privilegia questa articolazione e l’altra che privilegia la questione del soggetto a partire da un collettivo (P. e G.Lémoine, Avron e Delaroche) non possono prescindere dalle questioni che la formazione di un gruppo pone agli operatori. Più avanti citerà il libro di S.Gaudé che sviluppa lo psicodramma freudiano, che viene nominato dall’autore come psicodramma individuale. Nell’approfondire la differenza tra cura individuale e quella di gruppo, Kaes definisce il gioco come mediazione tra la conflittualità intrapsichica e lo spazio intersoggettivo. Il gioco costringe gli investimenti pulsionali ad entrare nel circuito della parola, mediante la sua capacità di “figurabilità” , che sarà approfondito ulteriormente, a partire dalla teoria freudiana del sogno e da quella di P.Aulagnier a proposito dell’elaborazione di eventi traumatici. Questo spazio intersoggettivo stabilisce un incontro o non incontro tra ciò che appartiene al gruppo e ciò che vi è mobilitato elettivamente per ognuno, attraverso i legami di gruppo. La convocazione allo psicodramma rende visibili i movimenti transferali-contro-trasferali e le relazioni tra gli psicodrammatisti nell’inter-transfert. Il lavoro di pre-elaborazione dei partecipanti, le enunciazioni degli psicodrammatisti che preludono agli enunciati delle regole, dei tempi e degli spazi delle sedute portano alla possibilità del gioco e alla sua ripresa mediante la parola nell’elaborazione successiva.
E’ qui che l’Autore sviluppa il concetto della violenza fondatrice, come anticipatrice di un contesto simbolico, quale il bambino trova all’origine della sua vita, in cui si trova predeterminato nell’occupare un posto generato dai discorsi genitoriali e ambientali. Questa violenza anticipatrice si fonda su una violenza originaria, il destino del soggetto. Al quale toccherà rispondere confermando o infirmando le aspettative necessarie per la sua venuta al mondo sul piano delle determinazioni simboliche. Si pone anzi come modello originario di qualsiasi incontro con l’altro, incontri amorosi, compresi quelli analitici. Questa illusione fondata sulla coincidenza è messa in luce dal dispositivo dello psicodramma, in cui l’astinenza dell’analista, promotore di questa violenza, ne è anche il mezzo per analizzarla e promuovere una separazione salutare. Il soggetto non rimane incastrata nella dialettica mortifera, già descritta da Freud tra l’essere autonomo e la genesi gruppale dell’individuo, come elemento di una catena. Il desiderio di morte, attivato dalla situazione a più persone (o io o l’altro) fa ritornare questa forma di violenza secondaria sulle questioni poste da quella originaria, come difetto di simbolizzazione, in cui appaiono chiaramente i nodi conflittuali tra questi due modi di esistenza del soggetto. L’incontro si situa dunque all’interno di questo spazio transizionale che il dipositivo di gruppo e il ricorso al gioco creano e sostengono.
L’Autore ripercorre le caratteristiche di questo dispositivo gruppale dello psicodramma, descrivendone in modo strutturale la loro funzione, come la pluralità, la disposizione frontale del faccia a faccia, la precessione degli analisti come fondatori e il regime della parola e dei processi associativi. La diffrazione dei gruppi interni è accostata alla costituzione della gruppalità psichica nelle loro specificità ed interrelazioni: entrambi funzionano come formazioni intrapsichiche che legano da un lato gli oggetti pulsionali e le identificazioni con la rete costituita dalla gruppalità psichica, formata da complessi, imago e fantasmi originari. La diffrazione quindi costituisce il rapporto tra lo spazio intrapsichico dei gruppi interni con quello intersoggettivo della gruppalità. Su questo sfondo propone tre modelli di funzionamento psichico nello psicodramma: il modello del sogno, il modello del gioco e quello del traumatismo e della retroazione (après coup). Nel primo, che ha determinato l’accesso nella cura individuale all’inconscio, è messo in evidenza come la molteplicità degli elementi del contenuto latente del sogno portino a pensare la diffrazione della gruppalità interna verso la rappresentazione, mediante la figurabilità, dei vari personaggi in un processo di decondensazione. I vari aspetti dell’Io si ripartiscono, secondo anche gli investimenti libidici, su differenti oggetti, per poter convergere verso la figura dell’oggetto censurato del desiderio. Il gioco, al contrario del sogno, che mette in atto una realizzazione allucinatoria del desiderio, permette di rappresentare ciò da cui è avvenuta una separazione, come nel gioco del rocchetto del nipotino di Freud. Per essere rappresentabile, il rocchetto deve essere la madre, portare con sé un principio di separazione, che fa affermare che il gioco è “il lutto della cosa”. Infine nel traumatismo, la capacità di sognare e di giocare sono in difetto, solo la ripetizione è legata all’oggetto del trauma. La nozione freudiana della retroazione (Nachtraeglicheit) e della perlaborazione permettono di riferirsi ad avvenimenti precedenti, nel tentativo di una ristrutturazione, che faccia loro acquisire un senso in un contesto significante. E’ un lavoro che riguarda nuovamente il preconscio, che dona un senso a ciò che ne è sprovvisto, mediante un lavoro psichico integrativo. Il caso di Céline, riportato dall’autore, ne è un esempio illustrativo.
Infine una parte approfondita dal racconto di quattro sedute di formazione, tenute in un pre-congresso in America Latina, ci fa cogliere la modalità originale con cui affronta la questione delle sedute di supervisione su questioni di clinica particolarmente difficili, dovute anche all’ambiente politico dell’epoca. L’originalità consiste nel fatto che il conduttore non fa giocare direttamente le situazioni incontrate dai praticanti dello psicodramma, ma propone loro di costruire un canovaccio che la storia raccontata può suscitare loro. I partecipanti sono sollecitati ad inventare una situazione immaginaria che sarà rappresentata secondo le regole dello psicodramma psicanalitico di gruppo. L’obiettivo principale è quello di “scollare” i partecipante dalla situazione traumatica diretta e dal controinvestimento dell’oggetto, attraverso una deviazione, che li riporti alla questione centrale con un movimento doppio di incollamento e scollamento, non privo di angoscia. Il racconto delle sedute, a cui rimandiamo, è intenso e chiarificatore dell’impostazione del lavoro descritto.
I capitoli 3 e 4 riguardano i saggi di O.Nicolle su “La prima volta- A proposito dell’Io nel dispositivo di psicodramma psicanalitico di gruppo” e di M.Benchimol su “L’interprete in gioco”. La traduzione in italiano del primo articolo non riproduce l’omofonia fondamentale, contenuta nel titolo, del termine Je (Io) con quello di Jeu (Gioco), su cui si basa l’Autore. La tesi è quella di ritrovare l’avvenimento della formazione dell’Io nel rapporto tra il fantasma gruppale e l’elaborazione del narcisismo del soggetto, mediante il dispositivo dello psicodramma. Dinamica tra i due elementi, che sottende una forma di “mitopoiesi”, dovuta all’intersecazione tra gli aspetti individuali, fantasmatici o mitici, con l’emergenza stratificata dei fenomeni gruppali che il dispositivo fa emergere. Interiorità ed esteriorità sono considerati un processo dinamico che riguarda sia l’attesa del partecipante, nella sua pre-elaborazione che la strutturazione del tempo e dello spazio nell’esperienza dello psicodramma. I movimenti narcisistici, che abbiamo già descritto nell’urgenza identificatoria e nell’illusione gruppale si fondano e si disperdono nella costruzione di una distinzione tra sé e l’altro, vissuta pericolosamente dai partecipanti. Il gruppo è idealizzato, come tempo per far apparire questa distinzione a fianco della matrice trigenerazionale, come mito che fonda la relazione tra i membri del gruppo e il loro rapporto con i due fondatori. Il rapporto quindi tra specularità narcisistica e il dispositivo stesso come specchio del gruppo promuoverà, nella stessa alternanza tra movimenti dell’Io e situazione gruppale, un avanzamento nella dinamica narcisistica con quella fallica, dell’erezione del corpo nel gioco con la presenza di altri partecipanti. L’investimento narcisistico sul gruppo potrà portare all’illusione gruppale, che sostiene contemporaneamente un ritiro silenzioso come “un furore di giocare”, sarà trasformato dal gioco nel riconoscimento di una propria gruppalità interna di ciascuno. Così come l’inter-transfert è legato ad un progetto di piccolo gruppo della coppia di analisti, di cui ognuno porta in sé la storia del gruppo di analisti che ha dovuto attraversare. In questo modo porta con sé la dinamica gruppale, che entra in contatto con il progetto di piccolo gruppo, di cui entrambi sono portatori e recettori nei fenomeni psichici che li legano ai partecipanti. Alcuni esempi sono riportati per chiarire questa dinamica tra la coppia in gioco e il gruppo, nel legame stretto tra narcisismo e avvento dell’Io, che coinvolge tutti quanti.
Il secondo articolo affronta la questione dell’interpretazione nel gruppo, a partire dal concetto stesso di interpretazione della Traumdeutung freudiana. Quello che interessa l’Autore è la concezione tratta da Fedida sull’interpretazione in psicoanalisi all’incrocio tra la dimensione psichica e quella corporea, per evitare di far corrispondere un legame troppo stretto tra segno e senso. Il posto dell’interpretazione nello psicodramma riguarda due aspetti in particolare: uno spazio di rappresentazione, sostenuto dal dispositivo, che dia un’intellegibilità dei contenuti inconsci e dei loro processi; secondariamente l’elaborazione di questo processo all’interno di una dinamica trasferale-contro-transferale. Il gioco psicodrammatico rappresenta per l’Autore lo scenario privilegiato non solo di questo incontro tra lo psichico e il corporeo, ma anche il luogo dell’interpretazione nella sua dinamica trasferale. A questo proposito descrive due esperienze, una di formazione e l’altra di un gruppo terapeutico, in cui i contenuti dei temi giocati fanno emergere delle “imago”, che, riprese dallo stesso psicodrammatista, permettono un lavoro interpretativo dei fantasmi originari della situazione gruppale e la loro evoluzione verso gli scenari individuali. Apprendiamo dall’Autore in questo articolo che solo uno dei due psicodrammatisti può accettare di far parte della scena giocata, mentre l’altro conserva una sua posizione analitica che salvaguardi il contenitore gruppale.
Gli ultimi due capitoli, il 5 e il 6 sono rispettivamente di A.M.Blanchard e M.Claquin su “Lo psicodramma in un intervento in istituzione” e di J.Villier su “La formazione degli psicodrammatisti di gruppo al CEFFRAP”. La questione posta dalle due autrici nel primo saggio riguarda il possibile utilizo dello psicodramma in ambito istituzionale. Il tema trattato riguarda un loro intervento presso un’istituzione di cura di bambini gravemente disturbati, prevalentemente diagnosticati come autistici. L’équipe curante è composta da psicologhe, assistenti sociali ed educatori ai quali
le operatrici propongono un intervento con lo psicodramma psicoanalitico. I problemi a cui si trovano a far fronte è il conflitto malcelato tra operatori “psi” e gli altri, i primi ideatori e responsabili del progetto e i secondi esecutori, svalutati e insoddisfatti rispetto al loro lavoro, soprattutto rispetto alle difficoltà di comunicazione con i bambini. Lo psicodramma è accettato solo formalmente, poiché le difficoltà interne al gruppo sono mascherate dall’ideale rappresentato dal progetto e dalla paura per ognuno di far emergere tensioni ed eventi traumatici, legati al lavoro, fonte di minaccia e di esplosione di violenza. Le Autrici analizzano il rapporto del gruppo attuale, con un nuovo direttore rispetto all’origine dell’istituzione, fondata da una coppia che aveva pensato ad un’istituzione per bambini autistici, avendo essi stessi un bambino grave, a cui volevano evitare un’istituzionalizzazione come bambino handicappato. Il mito dell’origine, nel suo duplice aspetto ideale e negatore di questa paura, salda il gruppo di lavoro, bloccandolo su questi aspetti, rimasti isolati, come il desiderio di morte. Il lavoro che viene proposto tiene conto di questa duplicità, essendo assimilate “le signore del CEFFRAP” alle psicologhe dell’istituzione, come responsabili da parte degli educatori del malfunzionamento del progetto. Transfert e controtransfert sono legati all’intertransfert, nella difficoltà per le due operatrici di proporre di arrivare a poter far giocare quest’aspetto minaccioso, dovuto alle resistenze degli operatori. Si potrà giocare la relazione bloccata solo quando arriverà un nuovo educatore che racconterà nella penultima seduta una storia, relativa al mondo orientale del buddismo, una forma di apologo denominata “koan”. Narra di un dialogo tra il maestro zen e i suoi tre discepoli che mostrano la coltivazione di ortaggi nell’orto del convento, in un posto difficile alla crescita, ai piedi dell’Himalaya. Il primo discepolo, vedendo una lumaca mangiare l’insalata, si avventa su di lei e la schiaccia. Rivolgendosi al maestro per spiegare il suo gesto, ottiene da lui l’approvazione. Il secondo discepolo protesta per il diritto alla vita della lumaca, ottenendo l’approvazione del maestro. Il terzo, di fronte al paradosso dell’approvazione del maestro per entrambi, protesta a sua volta, ottenendo anch’egli la sua approvazione. Questo tema può diventare lo scenario del gioco degli operatori, in cui, per effetto della diffrazione di rappresentazione delle varie parti in gioco ( le insalate da coltivare come i bambini assistiti, la voracità della lumaca, lo stesso Himalaya, rappresentata da un’ortofonista, nonché le parti dei discepoli) permettono al gruppo di cogliere gli aspetti traumatici presenti nel loro lavoro e mai venuti alla luce. La parte del maestro, che non prende posizione per nessuno è interpretato da una psicodrammatista, permettendo così di creare quel legame che non era stato possibile instaurare precedentemente. Le conclusioni del saggio riguardano l’interrogativo centrale se sia possibile mobilitare con lo psicodramma quegli aspetti di violenza e di destabilizzazione, che permettono la crescita personale e di gruppo, ma che l’istituzione tende ad occultare dentro un’unità immaginaria e formale, a rischio dell’appiattimento degli operatori.
L’ultimo capitolo riguarda la formazione degli psicodrammatisti al CEFFRAP e l’Autore si pone delle domande circa la definizione di formazione e il suo rapporto con la psicoanalisi e alle questioni del gruppo. Se la formazione concerne un progetto sul cambiamento dell’organizzazione psichica di una persona, essa deve avvenire con un ‘opzione etica: non riguarda l’indottrinamento ne’ una prospettiva chiusa e orientata psicoanaliticamente, a partire dalla nozione di transfert originario (Pontalis). L’Autore compila in seguito una rassegna storica interessante sull’evoluzione dello psicodramma, a partire dal suo fondatore, lo psichiatra J.L.Moreno, contrario alla psicoanalisi e inventore del metodo psicodrammarico, centrato sui ruoli e l’effetto catartico. In Francia l’evoluzione dello psicodramma è ripreso da alcuni psicoanalisti (Lebovici, Diatkine, Kestemberg), che lo utilizzano in senso psicoanalitico, studiando la questione del transfert e del gioco nel gruppo . Istanze che il CEFFRAP ha elaborato in modo originale, centrando il suo interesse per la gruppalità in rapporto ai fenomeni che si manifestano e interagiscono con l’individualità dei partecipanti. La proposta formativa del Circolo consiste nell’offrire delle sessioni di formazione, orientate a vari tipi di attività (psicodramma di gruppo ed espressione verbale, gruppo di parola come dispositivo di schiena, seminario residenziale), assieme ad attività che riguardano le questioni istituzionali, i casi difficili e il lavoro psichiatrico. La terza parte del saggio è dedicata al rapporto tra psicoanalisi e formazione, mentre la quarta alle posizioni del Circolo circa le proposte e le procedure seguite: è la sezione del libro che va letta con molta attenzione da chi ha un desiderio di formazione o si occupa direttamente di questo lavoro. Tratterremo soltanto alcune questioni riportate, per sollecitarne la lettura diretta: l’ascesa come un elemento simbolico, che mette il percorso dell’analista, ma anche dello psicodrammatista, nella condizione di rinuncia da un lato per acquisire un oggetto dall’altro (lo stato professionale), cosa che la differenzierebbe dall’accezione mistica della parola. Conseguenza di questo percorso è l’analisi del narcisismo del praticante, oggetto di proiezioni massicce, nelle quali non deve perdersi. La forza delle tensioni inconsce impone al praticante che il suo desiderio di formazione passi preliminarmente per un’esperienza di cura individuale. I termini cura e formazione non sono sovrapponibili. La seconda è un complemento della prima, in quanto con obiettivi diversi entrano in un rapporto dialettico, di intersezione dovuta alla maturazione della persona: la cura è un elemento formativo, mentre la formazione lascia insaturo alcuni elementi che possono riguardare la cura personale. Anche se questa dialettica non deve sottendere un ideale di onnipotenza, relativo allo stato di imperfezione umana, nell’acquisizione della necessità del lutto e della castrazione. Cosa autorizza una persona a prendere il posto di formatore? Non si tratta certo di un corso con esami, anche se l’apprendimento della tecnica e della teoria è necessario. L’Autore riprende la frase di J.Lacan “L’analista si autorizza da se stesso e da qualche altro” per indicare che l’intima convinzione del praticante, accanto alla sua elaborazione della cura e della formazione, costituisca la modalità prevalente di legittimazione, che ha nella seconda parte della frase “e da qualcun altro” la funzione della trasmissione e del ruolo istituzionale. Questione che le istituzioni psicanalitiche si pongono e cercano di risolvere: sessioni inter-analitiche, commissioni di corso, la “passe”. Anche qui i pericoli da evitare sono il settarismo e l’idealizzazione. Il discorso principale resta dunque il desiderio del formatore e le risposte istituzionali (controlli , supervisioni) nelle quali prende forma e si struttura questo desiderio.
L’ultima parte è dedicata quindi a come il CEFFRAP risponde a questo desiderio, con le attività e le procedure messe in atto. Nato nella prospettiva della ricerca e della sperimentazione con Anzieu (1962), attualmente è la prospettiva analitica che orienta il lavoro attraverso le attività proposte: i gruppi di durata breve, in cui si sperimenta l’idealizzazione e la conseguente necessità del lutto, che produce trasformazioni identificatorie importanti. Se il gruppo è breve, la durata della formazione è lunga, dovuta alla necessità nel tempo di affrontare le situazioni psichiche in uno stato di attesa costruttiva. Il Circolo costituisce altresì un luogo di scambio tra monitori sugli effetti psichici del lavoro di gruppo e in particolare della questione dell’analista “fuori delle mura”, che molti autori hanno già abbordato, come varianti o meno della cura-tipo. Nello psicodramma individuale, ad esempio, è il gruppo dei terapeuti che è al centro della questione dei fenomeni gruppali. Per quanto attiene ai colloqui preliminari, la questione centrale è se uno psicodrammatista debba essere un analista che complementa la sua formazione con lo psicodramma, oppure si deve pensare ad una formazione analitica, orientata dallo psicodramma? L’opzione attuale è quella di intraprendere la formazione, dopo che il candidato ha intrapreso un’analisi personale. L’esperienza di gruppo lo metterà a confronto con fenomeni non incontrati durante l’analisi, una particolare dimensione dell’inconscio relativa ai problemi di cambiamento dovuti al processo gruppale. Questi incontri durano un certo tempo per non assumere una valenza diagnostica, ma una possibilità di confronto tra le attitudini personali con la necessità di selezione. Il corso sarà poi il più personalizzato possibile, anche se le attività formali dovranno essere frequentate. Si cerca insomma di non gerarchizzare il corso e ogni candidato ha un referente personale. Infine l’Autore riprende la distinzione tra lo psicodramma centrato sulla dinamica di gruppo con lo psicodramma, che, a partire da un collettivo, lavora prevalentemente sulle questioni individuali in gruppo, tema che anche in Italia si sta facendo strada nella formazione analitica allo psicodramma