Psicoanalisi multifamiliare. A proposito della tecnica: contributo alle riflessioni sui gruppi di psicoanalisi multifamiliare nei CSM.
La proposta contenuta nelle riflessioni qui di seguito riportate, verterà su alcuni aspetti della clinica del gruppo multifamiliare (inteso secondo il modello proposto da G. Badaracco) ed , evidenziando elementi della clinica, vuole porre interrogativi relativi alla tecnica.
Voglio iniziare ricordando il mio “impatto” con l‟esperienza del gr. m.: impatto emotivo per l‟attivazione delle correnti emotive che il gruppo facilita, ma anche perché vi arrivavo senza la “mediazione” costituita dalle conoscenze teoriche relative a tale esperienza.
Nelle primissime fasi di avvio del gruppo (a quei tempi non vi partecipavo a causa dell‟esiguo numero di ore che caratterizza la mia attività di psichiatra presso la struttura pubblica) ho inviato numerosi pazienti sull‟onda di una disponibilità , una sorta di fiducia di base nei confronti del pensiero di Badaracco, che conoscevo soprattutto per i suoi lavori sulla psicosi, e naturalmente nei confronti del primario dell‟ambulatorio, A. Narracci.
Sottolineo questo iniziale mio rapporto con il gr.m. perché contiene elementi relativi alla funzione di contenitore del gr.m., da me utilizzata sin dall‟inizio, che riprenderò in seguito.
Gli invii fatti inizialmente riguardavano situazione cliniche caratterizzate da una condizione di impasse terapeutico: la richiesta che implicitamente facevo al gr. era quella di “rianimare”, mobilitare e rendere visibili, energie interne bloccate.
Altri invii erano invece relativi a situazioni di crisi: tentavo, in questo modo, di evitare al paziente il ricovero, sempre con l‟idea che favorire la circolazione di comunicazioni potesse costituire un‟occasione per ri –apprendere o apprendere modalità comunicative più funzionali a sciogliere nodi relazionali fonti di tensione.
Sicuramente ,inizialmente, ho fatto una delega al gr. m. da me vissuto, pur senza averne esperienza diretta, un “contenitore” in grado di restituire elementi trasformati.
Ho poi trovato il riferimento alla funzione di contenitore del gr. m. in diversi passaggi del testo di Badaracco “Psicoanalisi multifamiliare”: a pagina 182 l‟autore scrive: “……il clima di impegno condiviso al quale aderiscono la maggior parte delle persone presenti nel gruppo multifamiliare mi ha fatto parlare del gruppo come „contenitore‟ visto che il gruppo è il contesto che può contenere meglio le regressioni patologiche più gravi e le espressioni più folli di un essere umano…Il contesto multifamiliare offre molte risorse terapeutiche per affrontare queste situazioni. Se si lavora in coterapia, un altro terapeuta può intuire quello che il conduttore non intuisce. E‟ anche possibile che un altro paziente, o un familiare, apportino un contributo utile.
In un modo o nell‟altro, si tratterà sempre di prestare un‟ assistenza specifica all‟Io del paziente a partire da una percezione controtransferale rispetto al deficit di risorse dell‟Io di cui il paziente soffre ”.
Trovo questo passaggio particolarmente importante: in esso, oltre ad essere sottolineata la funzione del gruppo come „contenitore‟, viene indicato il controtransfert come strumento fondamentale per la percezione e comprensione del paziente e viene descritto il contributo che i partecipanti ( a partire dal conduttore e dai co- terapeuti, ma non solo) possono dare con le loro diversificate prospettive esistenziali, non solo professionali, alla costruzione di quella che con una felice espressione, Badaracco propone come „mente ampliada‟, indicando con questo termine la possibilità che “pareri diversi espressi da persone diverse coesistano all‟interno di un ragionamento comune a cui ognuno dei presenti fornisce il proprio contributo per CAPIRE e non per PREVALERE”.
Sempre a proposito della funzione di contenimento a pag. 202 troviamo questa ulteriore precisazione: “…consideriamo il gruppo multifamiliare come il contesto specifico per quanto riguarda il potere di destrutturare le formazioni patologiche con potere patogeno ed è questo potere di destrutturare che chiamiamo potere di disalienazione. Tutto ciò definisce il gruppo multifamiliare come contenitore, perché può farsi carico delle componenti più malate e dei momenti più regressivi degli esseri umani”.
Nel proseguimento della mia esperienza del gr. m. mi sono trovata ad usare altre due immagini, per rappresentarmi il gr.m. oltre a quella del „contenitore‟ inteso non come una cosa, ma un processo del fare lavoro psicoanalitico con i nostri pensieri disturbanti : “the „container‟ is not a thing, but a process of doing psychological work with our disturbing thoughts”, scrivono Gabbard e Ogden (2009) riferendosi al concetto contenitore – contenuto di Bion .
Le immagini sono quella di una lente di ingrandimento, cioè di un evidenziatore che rende più riconoscibili le varie modalità relazionali e assunzioni di ruolo „agite‟, per così dire, dai partecipanti al gr.m. e quella di un acceleratore, cioè di un dispositivo (equivalente a quello che nella fisica è impiegato per lo studio della struttura della materia) che causa un‟accelerazione mettendo in movimento trasformazioni che favoriscono la possibilità per gli individui di “emergere come soggetti” (Ogden, 2009) e così riaccendere la speranza, fattore terapeutico fondamentale.
Vorrei ora proporre alcune considerazioni di carattere tecnico a partire da riflessioni relative alla clinica.
Ho già accennato al mio iniziale invio di pazienti al gr. m. senza che il loro ingresso fosse preceduto da un passaggio di informazioni relative alla storia e alle problematiche di quella particolare persona e della sua famiglia.
Personalmente cerco questo incontro “al buio” quando inizio a lavorare con un paziente la cui storia preferisco costruire – ricostruire direttamente con il mio interlocutore senza la mediazione di racconti altrui a mo‟ di biglietti da visita, carta di identità „per procura‟: mi chiedo, invece, se, per quanto riguarda il gr. m. non possa essere di fondamentale utilità una dimensione condivisa tra gli operatori , di conoscenza, seppure a grandi linee, della vicenda familiare dei vari costituenti del
gruppo. Questo potrebbe, a mio parere, favorire l‟individuazione e l‟utilizzo degli elementi che emergono nel gruppo/dal gruppo che per sua natura favorisce anamnesi – messe in scena- particolarmente ricche e vivaci.
(come dire: meglio lavorare in un assetto mentale caratterizzato da “assenza di memoria e desiderio”, per citare una concettualizzazione di Bion, o con uno stato della mente improntato a quell‟attenzione che favorisce quella possibilità di “assistenza specifica all‟Io del paziente” di cui parla Badaracco nella citazione prima proposta?)
Nel gr. m., come nei settings individuali, momenti di simmetria e condivisione (“il conversare” di Badaracco, pag. 70) traghettano verso l‟enucleazione (fatti prescelti quando interveniamo) di materiale significativo a produrre cambiamento e sollievo dalla sofferenza ( e questo è, a mio parere, il senso del concetto di “terapia”).
Penso che l‟individuazione di queste possibilità sia legata anche alle caratteristiche personali degli operatori che non dovrebbero, però, perdere di vista, di essere parte di un assetto gruppale, nella necessità anche, di ridimensionare, eventualmente, una proposta di intervento che non risuoni o che non venga accolta dagli altri partecipanti al gr.m.
Gli operatori si trovano così a dover ricercare posizioni di equilibrio tra le competenze e lo stile di intervento personale, e il loro esser parte, ma anche creatori di quella “mente ampliata” descritta da Badaracco: un atteggiamento improntato ad una disponibilità recettiva che , nello stesso tempo, è capace di riconoscere e dosare la tenuta del contenitore, sembra favorire posizioni di equilibrio.
Ritengo che le conoscenze condivise sul funzionamento del gr. m. e la possibilità di elaborazione dell‟esperienza stessa, costituiscano quel sapere “implicito” che indirizza e sostiene il nostro “fare” ,come operatori, nel gruppo.
(uso il termine “fare” naturalmente distinguendolo da quello di “agire”, riferendomi a tutte le operazioni mentali esplicite e implicite che ci portano a “scegliere” elementi che emergono dal campo gruppale e ad assumere, in questo modo, la “responsabilità” di orientare – anche se con mete continuamente modificabili- il lavoro del gruppo).
Riprendendo poi il tema dell‟individuazione delle persone che si potrebbero giovare del gr. m. mi trovo a pensare agli invii da me fatti relativi a situazioni di difficile contenimento nel setting individuale e a come l‟andamento gruppale abbia di volta in volta confermato la validità di questo tipo di utilizzo del gr. stesso, pensato soprattutto nella sua funzione di contenitore.
Altre volte, invece, mi sono trovata a considerare la necessità di raffreddare temperature emotive troppo alte al di fuori del gr. per non condizionare il lavoro del gr. stesso con l‟introduzione di un elemento „urente‟ che avrebbe potuto innalzare troppo la temperatura emotiva con l‟eventuale rischio di una saturazione e blocco dello svolgimento del lavoro gruppale.
Nella mia esperienza, gli individui “accentratori” inizialmente attivano funzioni di aiuto (terapeutiche) da parte degli altri partecipanti che poi, però, sperimentano vissuti di sottrazione (potersi esprimere in gruppo costituisce un importante rinforzo narcisistico di cui molti dei nostri pazienti appaiono bisognosi in quanto spesso
trattati come rinforzo… del narcisismo altrui e a me pare importante garantire in modo equilibrato questa possibilità per tutti coloro che hanno bisogno di utilizzarla).
Sempre con un‟attenzione relativa alla tecnica mi chiedo: che misura di tonalità emotiva è possibile accettare perché sia compatibile con sue espressioni suscettibili di contenimento e trasformazione?
Gr. m. come contenitore ma anche, quindi, come modulatore delle possibilità espressiva delle emozioni?
A queste modalità di funzionamento del gr. m. vorrei aggiungerne un‟altra legata alla possibilità per il gr. di essere considerato un testimone –partecipe, essere, cioè, quell‟elemento “terzo”, garanzia del mantenimento di uno spazio dove potersi realizzare le condizioni per la pensabilità.
Quando ho iniziato a partecipare ai gr. m .mi sono trovata all‟interno di una rete di comunicazioni e dinamiche gruppali che per me ,allo stesso tempo, erano note, ma anche nuove e mi sono trovata ad attingere agli strumenti acquisiti nella pratica clinica o derivati da apporti teorici diversificati, ma soprattutto ad utilizzare quella disponibilità all‟ascolto e quell‟assetto recettivo interno che ritengo caratterizzino l‟assetto mentale dell‟analista al lavoro anche fuori del setting duale.
Concludo questa sintetica proposta di punti che vorrei approfondire in un contesto condiviso di riflessione sull‟uso che noi facciamo del modello operativo proposto nel lavoro con i gr. m., utilizzando le parole di Badaracco: “…mi rendevo conto che nel macrogruppo l‟interpretazione psicoanalitica e il pensiero psicoanalitico non potevano essere utilizzati come nella seduta individuale, ma allo stesso tempo non potevo rinunciare ad essere psicoanalista e interpretare quello che succedeva” (pag.38).
Bibliografia
– Bion W.R., (1970). Attenzione e interpretazione, Armando, Roma,1973.
Gabbard G. O., Ogden T.H.,(2009).On becoming a psychoanalist, Int J Psychoanal 90: 311-327.
– Garcia Badaracco J.E.,(2000). Psicoanalisi multifamiliare, Bollati Boringhieri, Torino, 2004.
– Ogden T.H.,(2009). Riscoprire la psicoanalisi, CIS ,Torino, 2009.