Adolescenza e violenza
Il Pensiero Scientifico Editore, Roma. Nicolò A.M. (a cura di) (2009)
Invito con piacere alla lettura del volume curato da A. Nicolò, Adolescenza e violenza, che si offre quale prezioso contenitore di validi contributi su un tema complesso e di scottante attualità.
Dalla lettura, sorge spontaneo un primo ringraziamento nei confronti della curatrice. Accostare due dimensioni come l’adolescenza e la violenza, che già di per sé sono complesse, pluri-sfaccettate e foriere di molte domande, tuttora aperte, non deve essere stato facile. Soprattutto, risulta degno di apprezzamento lo sforzo (con il relativo risultato, più che soddisfacente) di illustrare, a più voci e porgendo al lettore una ricca gamma di situazioni, quello che può essere il contributo specifico della psicoanalisi in questo ambito e anche fin dove, almeno per il momento, tale contributo può risultare efficace. Con la medesima onestà intellettuale, nel volume è indicato dove la psicoanalisi si possa utilmente connettere con altre discipline, nell’affrontare appunto situazioni complesse e multidimensionali, pur mantenendo il suo preciso vertice di analisi.
Le risorse specifiche, ossia la ricchezza e i limiti, dell’approccio psicoanalitico nei confronti dell’adolescente “violento” sono dichiarate fin dalla introduzione al volume, sapientemente scritta da V. Bonaminio: “Noi psicoanalisti siamo ora più in grado di comprendere i meccanismi intrinseci della violenza, le cause endogene e le relazioni precoci, ma non siamo parimenti in grado di prevenirle e curarle. Ma questa discrasia tra le nostre capacità diagnostiche [… e quelle] di curare e prevenire, non è certo tipica solo del tema della violenza né lo è solo della psicoanalisi, ma accomuna tutte le discipline del comportamento e tutte le ‘professioni di aiuto’ […] Però noi psicoanalisti abbiamo gli strumenti che vanno al cuore del problema. Quale altra “teoria clinica” è in grado di prendersi cura dei ragazzi violenti come la psicoanalisi? Anche chi vanta eclatanti successi poi deve confrontarsi con il muro della refrattarietà della cura della violenza che richiede pazienza, strategie, tecniche sofisticate, comprensione e fermezza, ma anche il ‘polso’ della situazione emotiva dei pazienti”. Si potrebbe leggere l’intero volume anche solo considerandolo dal vertice delineato in queste righe (e si imparerebbe già moltissimo): come se il lettore potesse effettuare un viaggio in diverse tappe, in ognuna delle quali gli venisse raccontato come quel ragazzo, e non un altro, è stato trattato da quell’analista in quella relazione terapeutica. I casi clinici sono appunto utilizzati appropriatamente, a scopo esemplificativo, ed anche evocativo, tali da chiarire le riflessioni teoriche degli autori e da stimolare ulteriori pensieri. Ogni autore ha infatti presentato la propria specifica “bussola” teorica con cui leggere la dinamica adolescenza-violenza, ma ha anche sempre calato questo discorso nella realtà esperienziale della clinica. Questo ultimo aspetto si configura quale elemento qualificante e di ulteriore valore per il libro, anche sul piano didattico specialistico.
Parlando della violenza e dell’adolescenza, infatti, non solo vengono ripercorse e spiegate diverse letture di esse e della loro relazione che nel tempo si sono susseguite nel movimento psicoanalitico, fino agli apporti più recenti, ma viene altresì prestata molta attenzione da parte degli autori ai contenuti di teoria della tecnica che vengono opportunamente declinati per situazioni terapeutiche così peculiari. Tutto questo aggiunge valore al discorso psicoanalitico sul trattamento dell’adolescente in generale, e di quello “violento” in particolare, proprio sul piano epistemologico.
Alcune idee importanti emergono a questo proposito dal contributo collettivo degli autori. Provo a ricordarne solo alcune. Parafrasando Winnicott, a cui nel volume viene riconosciuto, anche in questo delicato settore, un contributo d’avanguardia, viene ribadita l’importanza di non rinunciare alla ricerca di una chiarezza “sufficientemente buona”, che in primo luogo deve essere quella terminologica, nel descrivere le situazioni che i clinici possono incontrare, pur nella loro innegabile complessità: “[…] proprio in adolescenza sarà poi molto facile confondere l’aggressività e i suoi derivati, l’aggressività e gli affetti ad essa connessi. Ad esempio, nel linguaggio clinico corrente confondiamo aggressività con violenza, distruttività, odio e rabbia” (Nicolò).
In questa direzione, il lavoro di Jeammet illustra la differenza sostanziale fra il comportamento aggressivo, in cui è mantenuto un legame con l’oggetto, e quello violento che si qualifica invece attraverso un meccanismo secondo cui “l’oggetto è colpito perché è de-soggettivato, squalificato nella sua identità di soggetto dotato di desiderio e di giudizio”.
Di grande interesse sono tutti i vissuti controtransferali descritti. Particolarmente feconda per descrivere le dinamiche oggetto del volume, mi è sembrata l’idea di Carnevali e Rosso, nel narrare l’esperienza analitica con due adolescenti, nella cui storia erano presenti situazioni traumatiche precoci, di riferirsi a un “‘transfert primitivo preverbale’ secondo una dimensione percettivo-visiva, [che a loro è] sembrata dominante rispetto a quella basata sulla parola, soprattutto nelle fasi iniziali del trattamento. Nell’atmosfera del campo analitico ci ha colto di sorpresa l’essere investiti a più riprese da quella che potremmo definire una ‘nube di frammenti psichici’ in cerca di contenitore. Sulla base della nostra esperienza, tale fenomeno può tradursi, nell’analista, in sensazioni percettive di caldo o freddo, di vertigine, o in uno stato mentale di impotenza nel conservare un definito confine di sé”. Anche in questo lavoro, come negli altri, si puntualizzano, come già accennato, le indicazioni tecniche. Per esempio, le autrici discutono quale può essere in questi casi un uso possibile e terapeutico dell’interpretazione.
Infine, il volume sottolinea la forte connotazione trans-personale della violenza, aspetto approfondito soprattutto nella seconda parte del libro.
Tenendo anche a mente, seguendo il suggerimento di V. Bonaminio, l’epigramma di Terenzio “Homo sum, nihil humani a me alienum puto”, desidero concludere con le parole della curatrice, perché credo siano significative nel responsabilizzarci, sul piano umano e sul piano professionale, rispetto a questo tema: “Proprio perché correlata all’agire e spesso caratterizzata da un disturbo nella possibilità di rappresentarla e simbolizzarla, essa [la violenza] mostra le sue radici nel contesto di appartenenza, nei legami che genera e da cui è generata. Essa è a mio avviso una delle patologie che più si prestano ad essere considerate transpersonali perché, molto più che altre, travalicano il soggetto sia nella sua origine che nelle sue conseguenze”