ARMANDO B. FERRARI Il pensiero e le opere
Saggi psicoanalitici
Volume I: La teoria; Volume II: La clinica
A cura di: Paolo Carignani, Paolo Bucci, Isabella Ghigi, Fausta Romano
Franco Angeli, 2022. Milano
Recensione di Domenico Timpano
Ho conosciuto personalmente Armando B. Ferrari quando ero allievo del Centro di Psicoanalisi Romano. I suoi seminari erano molto frequentati – a quei tempi i candidati erano liberi di frequentare i corsi che volevano – e ci ritrovavamo in gruppi di oltre 20 persone. Era un docente appassionato, autorevole e originale, e aveva elaborato punti di vista che riconsideravano gran parte delle concezioni psicanalitiche di allora, specialmente quelle afferenti ai modelli delle relazioni oggettuali. Eravamo molto incuriositi, stimolati e desiderosi di conoscere le sue idee riguardo al materiale clinico presentato e ci ingaggiavamo puntualmente in discussioni accese. Ne emergevano interessanti chiavi di lettura e approcci teorico-clinici con i quali avevamo ancora poca dimestichezza, ma che ci intrigavano molto.
Il testo in due volumi pubblicato da F. Angeli quest’anno, a cura di Paolo Carignani, Paolo Bucci, Isabella Ghigi e Fausta Romano, raccoglie per la prima volta le opere di A. B. Ferrari in edizione unica. I curatori, che fanno parte dell’Istituto Psicoanalitico di Formazione e di Ricerca (IPFR) fondato da Ferrari stesso, sono tutti studiosi che hanno seguito da vicino gli sviluppi teorici e clinici del maestro, cui hanno voluto rendere omaggio per il centenario della sua nascita. Oltre alle sue opere più famose, il lettore vi troverà lavori inediti o mai tradotti in italiano, e l’interessante trascrizione di alcune supervisioni di gruppo, in cui è possibile apprezzare il prof. Ferrari in presa diretta.
Il pensiero di A.B. Ferrari è molto ricco e complesso. Fa uso di concetti e terminologie specifiche che richiedono una conoscenza che non è qui possibile introdurre adeguatamente. Bisognerà rivolgersi direttamente ai due volumi pubblicati, il primo con articoli e saggi prevalentemente teorici, il secondo prevalentemente clinico, per averne un’idea sufficientemente informata e chiara.
E’ un pensiero che riflette pienamente la ricchezza e la complessità della storia personale, professionale e accademica dell’autore. Adolescente anarchico, giovane militante antifascista, giornalista, inviato in America del Sud, ha vissuto trent’anni in Brasile, dove si è formato prima come sociologo e antropologo – ha svolto ricerche sul campo sui ‘riti di morte’ di alcune popolazioni indigene – e poi come psicoanalista. Ha fatto prima un’analisi freudiana con H. Schollomann, poi un’analisi kleiniana con Virginia Bicudo e infine un’analisi bioniana con Frank Philips. Dopo la lunga esperienza brasiliana è tornato in Italia e ha pubblicato i suoi quattro testi più importanti: L’eclissi del corpo (1992), Adolescenza la seconda sfida (1994), L’alba del pensiero (1998) e il Il Pulviscolo di Giotto (2005). I primi tre sono inclusi in questa edizione, mentre il quarto, Il pulviscolo di Giotto (in cui si stratta del problema del tempo, della morte e dell’approccio ai pazienti terminali), in attesa di ristampa, non è preente in questa raccolta.
E’ possibile individuare nel pensiero di Ferrari due linee principali di ricerca, una che riguarda la relazione mente-corpo e l’altra che concerne la relazione analitica.
La relazione mente-corpo è considerata la relazione più importante dell’essere umano, perché è il fondamento individuale più originale di cui dispone, più importante della stessa relazione col mondo esterno. Un’ affermazione così radicale richiede qualche premessa introduttiva. Ferrari ha intuito progressivamente che il corpo aveva per la mente umana un ruolo che non era stato ancora pienamente compreso. Ci si è avvicinato studiando la funzione beta di Bion e riconoscendo a quest’ultima una parte ben più importante di quanto Bion stesso le avesse assegnato. La funzione beta, per Ferrari, non indica ciò che non è stato elaborato dalla funzione alfa, ma una funzione preesistente che produce elementi beta i quali a loro volta funzionerebbero come stabilizzatori della funzione alfa. La funzione beta corrisponderebbe a ciò che definisce come “sfondo animalistico dei vissuti dell’uomo”. E’ un’espressione che anticipa il pensiero di Panksepp e delle sue neuroscienze affettive, che vedono i sistemi motivazionali umani come strutture che abbiamo in comune con gli altri mammiferi.
Dallo studio della funzione beta (e dopo gli studi sulla relazione analitica) Ferrari mette a fuoco l’ipotesi dell’Oggetto Originario Concreto e dell’eclissi del corpo. La mente nasce dal corpo perché quest’ultimo ne ha bisogno. Il bisogno è legato alla natura turbolenta e marasmatica di fenomeni fisici alla nascita che per via della loro intensità avrebbero effetti disorganizzanti se non intervenisse la mente, appunto, con la sua funzione distanziante, contenitiva e organizzante. La mente, in questo modo, percepisce il corpo quasi come un altro da sé, cioè come un oggetto. Questa interazione primaria corpo-mente non si limita ai primi anni di vita ma si ripropone costantemente nel corso della vita. Si costituisce così un asse oggettuale interno sé – corpo, chiamato rapporto verticale che interagisce con un asse oggettuale esterno sé-mondo esterno, chiamato rapporto orizzontale.
La centralità del corpo evidenziata da Ferrari ha anticipato di alcune decadi quanto sarebbe poi accaduto sia in ambito psicoanalitico che extra analitico. Lo sviluppo delle neuroscienze, con cui Ferrari aveva già profondamente dialogato – con Damasio e con Edelmann, in particolare –, ha reso intanto sufficientemente accettabile l’idea che il corpo sia costitutivo della mente e che non ci sia dualismo ontologico, ma solo epistemologico, tra mente e corpo. L’epigenetica, dal canto suo, ha reso più intelligibili le influenze dell’ambiente sull’organismo umano e certi passaggi tra natura e cultura. In psicoterapia, parallelamente, il riferimento alla dimensione corporea, alla fisicità, al mondo delle sensazioni, e all’interlocuzione che è possibile intrattenere con queste dimensioni esperienziali all’interno di una relazione terapeutica, hanno reso il ‘corpo’ ineludibile anche per gli specialisti della salute mentale. Eppure, fino a qualche anno fa affermazioni di Freud quali “la psiche è estesa” o che “i concomitanti somatici sono il vero e proprio psichico” rimanevano piuttosto enigmatiche e oscure.
Non che in ambito psicoanalitico non fossero già presenti importanti concettualizzazioni del corpo, come per esempio quelle di Winnicott e di Gaddini (1) (che hanno importanti punti di contatto con quella di Ferrari). Ma l’idea di concepire il corpo come primo oggetto della mente e di dare a questo rapporto oggettuale col corpo un’importanza maggiore del rapporto oggettuale con la madre, è stata un’ipotesi esclusiva di Ferrari. Tra mente e corpo hanno luogo due processi chiamati “UNO”, quello che relaziona la mente al corpo, e “BINO” quello che porta alle rappresentazioni e alla simbolizzazione. Il progressivo passaggio dall’”UNO” al “BINO”, cioè dal corpo alla mente più evoluta, configura l’eclissi del corpo, cioè dell’OOC, processo che non rimane confinato ai primi anni, ma che continua tutta la vita.
L’OOC nella sua configurazione dinamica offre la possibilità di essere visto sia come oggetto che come soggetto: oggetto rispetto alla mente che lo registra, ma soggetto rispetto al mondo esterno. I processi di significazione diventano così molto complessi e possono spostare progressivamente il punto di vista da “ciò che noi sappiamo del corpo a ciò che il corpo sa di noi” (C. De Toffoli) (2).
L’OOC nel suo rapporto con l’apparato mentale differenzia radicalmente il pensiero di Ferrari rispetto da quello di M. Klein. Per quest’ultima il mondo interno è un precipitato di oggetti esterni che mediante introiezione diventano oggetti interni. L’OOC, invece, è un oggetto interno già presente nel neonato, dotato di matrice propria, e non frutto dell’introiezione dell’oggetto esterno materno. La madre è essenziale con la sua funzione di reverie, ma vi prende parte come catalizzatore.
L’OOC, secondo Ferrari, concorre a “determinare una forte percezione di identità, quel senso di un proprio nucleo unico, indistruttibile, di più difficile accesso, che caratterizza l’essere umano, e che ha un rilievo differente rispetto all’area degli oggetti interni che, pur facendo parte della soggettività, è tuttavia avvertita come meno centrale, quasi fluida, mobile, in contatto con il mondo esterno”.
Sulla base di questi presupposti ha luogo un significativo spostamento d’importanza all’interno delle relazioni primarie: il rapporto verticale diventa più importante di quello orizzontale. Non sarà quindi l’interpretazione di transfert lo strumento psicoanalitico principale, ma la capacità della relazione analitica di rielaborare il rapporto con l’OOC. L’efficacia del processo analitico è legata alla capacità della relazione analitica di migliorare l’armonia del rapporto col corpo, altrimenti i risultati saranno scadenti (3).
La psicopatologia, in questa prospettiva, è concepita come disarmonia del rapporto mente-corpo.
Lo studio della relazione analitica si è avvalso della collaborazione continuativa col filosofo Emilio Garroni, da cui ha ripreso la concezione di UNO e BINO per descrivere l’unità diadica del rapporto corpo-mente. La relazione analitica è considerata una “costante dinamica” costituita dal duplice movimento dell’analizzando, che va per la prima volta verso se stesso, e dell’analista che, sollecitato dalle comunicazioni dell’analizzando, torna verso se stesso. In questo specifico senso, la relazione analitica è un sistema “autointerpretante”. L’analista, che non è un archeologo, più che ai contenuti si interessa ai modi della comunicazione. Il transfert è un fenomeno reciproco tra analista e analizzando e non un processo unidirezionale che evoca un controtransfert. L’analista fa delle ipotesi, che non sono interpretazioni da parte di un esperto dei contenuti mentali di un paziente, ma proposizioni analitiche indicate all’analizzando affinché verifichi in che misura queste ipotesi lo aiutano a dialogare meglio con se stesso. La regressione in analisi non è utile e al suo posto viene invece sollecitata la responsabilità dell’analizzando, che deve essere aiutato a guardare avanti e a farsi carico delle proprie risorse.
Un altro singolare aspetto del pensiero di Ferrari, che attinge sia alla sua formazione antropologica che alla sua ipotesi dell’OOC, è l’affermazione dell’esistenza di un guaritore interno, cioè di un aspetto funzionante che coesiste, sia pure in forma dissociata, con gli aspetti malati del paziente. E’questo guaritore interno che spinge una persona sofferente a cercare un guaritore esterno, l’analista, ed è con questo che l’analista deve cercare forme di solida alleanza.
La centralità del rapporto corpo-mente si riflette anche sull’interesse profondo che Ferrari ha avuto per l’adolescenza, su cui ha scritto diversi lavori che possono essere consultati in questa raccolta. L’adolescenza è una seconda nascita o, più precisamente, una seconda sfida, perché getta le basi per la prima elaborazione conscia del rapporto corpo-mente. Si tratta di un processo inverso e speculare a quello dell’infanzia, in cui era la mente a proporsi al corpo: in adolescenza è il corpo che si propone alla mente sotto l’ineluttabile spinta dello sviluppo biologico. Molto interessanti sono le sue indicazioni cliniche: l’adolescente deve fare per conoscere; con l’adolescente bisogna essere pedagogici. Inoltre, i suoi punti di vista sull’Edipo, sulla sessualità e sull’identità di genere sono decisamente avanzati. Ha scritto: “la sessualità ha a che vedere con il tentativo di comunicazione con l’esterno: è vita, desiderio dell’altro che potrà definirsi come opposto a me o come omologo a me!”. Ha sostituito inoltre concetto di complesso di Edipo con quello di costellazione edipica, più sfaccettato e dinamico, che dura tutta la vita. Cito le sue parole: “la costellazione edipica non tiene conto dell’identità di genere, gioca il suo gioco finché trova il suo equilibrio…Non è affatto vero che nella mia vita di uomo, se sono gay rimango gay e se non sono gay rimango non-gay. L’oscillazione è continua, è sempre presente e dipenderà dalle circostanze interne e – perché no? – anche dalle situazioni esterne.”
Concludo citando una sua affermazione che riguarda l’origine della malattia mentale: “in un gruppo familiare […] colui che si ammala (non è necessariamente il più debole): è quello più sensibile, più problematico, nel senso che è più curioso, quello che ha delle ipotesi forti sulla vita. Chi non ha ipotesi sulla vita non si ammala”.
Bibliografia
De Toffoli C: “Psicosoma. Il sapere del corpo nel lavoro psicoanalitico”, Rivista di Psicoanalisi, vol 3, 2001.
Freud S: “Compendio di psicoanalisi”, OSF, vol 11, Bollati Boringhieri, 1938.
Gaddini E: “Sull’imitazione”, 1969, in Scritti 1953-1985. Raffaello Cortina Editore, 2002.
Panksepp J, Biven L, “Archeologia della mente”, Raffaello Cortina, 2014.
Winnicott DW: ”L’intelletto ed il suo rapporto con lo spiche soma”, 1949. In Dalla pediatria alla psicoanalisi. Firenze, Martinelli, 1975.
Note
- D.W. Winnicott aveva descritto la mente come ‘elaborazione immaginativa del corpo’; E.Gaddini aveva descritto gli stati primitivi della mente in termine di ‘sindromi psicofisiche’, e nel suo lavoro sull’Imitazione parlava di ‘imitare per percepire’ e ‘imitare per essere’. Il sentire le modificazioni del proprio corpo, anziché quelle del mondo esterno, nell’atto del percepire, potrebbe avere qualcosa in comune con l’asse verticale di Ferrari, quando dice che il bambino sente la fame, non la mancanza del seno.
- C. De Toffoli, Rivista di Psicoanalisi, pag 467, vol 3.2001.
- Un concetto affine è stato espresso da Winnicott nel suo lavoro “l’Intelletto e lo psiche-soma”, dove l’intelletto – traduzione del termine inglese ‘mind’ – viene descritto come una mente inautentica perché scollata dal corpo; quest’ultimo, proprio mediante la malattia ‘somatica’ cerca di ripristinare la connessione corpo-mente che era andata perduta. (Winnicott ha scritto quel lavoro nel 1949 dopo aver avuto uno dei suoi infarti)