Gridare, canticchiare e altre espressioni vocali nei bambini con condotta autistica
Le condotte sonore dei bambini destano sempre l’attenzione dell’ambiente adulto, a tal punto che buona parte degli interventi educativi, già nella culla, sono volti alle espressioni sonore. L’adulto interviene, come un maestro d’orchestra, per limitare, fermare, abbassare in volume sonoro e/o in quantità, modulare queste produzioni sonore, così come, sempre lui, interviene per iniziarle,o tenta di modificarle, o ancora, le limita, le rilancia, etc. D’altronde, sarà proprio questo, ciò che susciterà le prime produzioni verbali. Tutto questo gioco sonoro nel quadro famigliare, ma anche a scuola, può ben rappresentare la misura delle sfide dell’espressione, dell’individuazione e del potere. L’intensità sonora, nelle forme di rumore, di grida, costituisce bene, il solo potere fisico che il bambino possiede, e che, fin dalla nascita, ha in comune con l’adulto. Questo stesso, d’altronde, ne è sensibile, addirittura, in tanti casi molto sensibile. Per questo, non vi è nulla di cui stupirsi, se ritroviamo queste condotte sonore nella relazione bambino-adulto, nei casi di bambini portatori di handicap. Ci limiteremo, in questa presentazione, ai bambini autistici. I genitori di questi bambini, hanno sempre sottolineato le condotte sonore, peculiari, dei loro figli: estrema sensibilità a certi suoni, rumori, che possono generare condotte evitanti, fobiche, o, al contrario, particolare attrazione, fascino, dei “contenimenti” in certi suoni. Queste condotte appaiono bizzarre, inappropriate, tanto più che, d’altra parte, questi stessi bambini manifestano una certa sordità. I genitori parlano spesso anche di grida, o di queste crisi di grida, spesso molto acute, che assordano, e molto spesso, molto stressanti per l’ambiente. Sappiamo bene che si tratta di comportamenti che ritroviamo agli estremi del sonoro, dall’inaudibile all’assordante. Tra i due estremi, si osservano numerosi casi, in cui le espressioni sonore, sono molto più tollerabili per l’ambiente, o anche, alle volte, piacevoli: una sorta di canticchiare. Queste manifestazioni, sono ciò che induce la famiglia a pensare che il bambino abbia delle capacità musicali, il piccolo, appunto il piccolo canticchia, egli riproduce le melodie che ascolta, egli ne crea altre. Questo stesso bambino può anche manifestare interesse all’ascolto di alcune melodie, ma può ancora sorprenderci con condotte che ci sembrano paradossali.
Avendo sviluppato, da diversi anni, una ricerca riguardo il ruolo del sonoro e della musica nel funzionamento psichico, non potevamo restare insensibili a queste particolari condotte. Abbiamo così proposto di stabilire una valutazione con l’obiettivo di distinguere dei profili di comportamenti sonori e musicali osservabili in questi giovani. Abbiamo così ideato un Questionario per l’osservazione del mondo sonoro e musicale (E. Lecourt, 1999) abbinato ad una breve presentazione: osservazione del comportamento del paziente durante l’ascolto di sei estratti di brani musicali, della durata di dieci minuti. L’insieme di questa valutazione , non ha la semplicità delle scale comportamentali se considerate attualmente nel quadro della ricerca, ma il materiale che si ricava è molto ricco. Come già sappiamo, da sempre, la musicoterapia è particolarmente indicata per il trattamento dell’autismo infantile. Tuttavia se la pratica terapeutica è ricca e diversificata, manca una riflessione psicopatologica sul rapporto particolare con il sonoro. Queste esperienze cliniche sono state la base su cui abbiamo costruito questa valutazione. Siamo partiti dal principio che esisterebbero differenti profili sonori tra questi pazienti, alcuni più attratti dalla musicoterapia di altri, da un lato, e che questi profili potrebbero essere messi in relazione con altre caratteristiche psicopatologiche, vedi eziologiche.
Il questionario comporta delle domande preliminari relative ai comportamenti sensoriali del bambino, seguite da quattro repertori di domande relative alle principali problematiche sonore, e un ultimo repertorio che mira a valutare gli elementi musicali strutturali percepiti dal bambino. Il questionario deve essere compilato con qualcuno che sia molto vicino al bambino (un genitore, o che si prende cura di lui), e le risposte devono sempre corrispondere alle condotte spontanee del bambino.
Ritorniamo alle principali problematiche sonore contenute in questa valutazione, si tratta del rapporto tra interno/esterno, della ricezione del suono, della perdita sonora, e della relazione con l’oggetto sonoro. Le nostre riflessioni sul sonoro ci hanno, in effetti, condotto a considerare in
particolare la questione dei limiti e della protezione. Il sonoro supera le abituali barriere protettive, le mura, gli involucri, è intrusivo, alle volte lo è in maniera talmente violenta che rende sordi, ferisce psichicamente. E’ banale affermare che basta tapparsi le orecchie, in quanto il sonoro attacca ben al di là. Invade anche, impregna, e si impone, giustamente, per la sua mancanza di limiti. Inoltre, sul piano non più spaziale ma, bensì temporale, il sonoro è onnipresente, di giorno come di notte, d’altronde esso è il mezzo più comune per il risveglio mattutino. Essere inquieti, ansiosi rende particolarmente sensibili, ipervigili, rispetto a ciò che il sonoro rischia di suscitare. L’essere umano ha la necessità di costruirsi uno spazio abitabile nel sonoro, la cultura gli ha già preparato il terreno con i codici sonori quali sono il linguaggio verbale e la musica, ma ogni individuo deve creare il proprio spazio sonoro psichico. Inoltre, più l’involucro musicale è ampio (spazioso), più offre, nel quotidiano, esperienze sonore non solo gestibili, ma piacevoli, in quanto suscettibili al gioco ( la musica crea uno spazio sonoro del tutto gestibile, per il piacere di giocare, e ciò vuol dire per il piacere del funzionamento psichico in sé stesso). Come appare questo costrutto non è semplice, e può, solitamente, essere messa in discussione dalla malattia fisica o mentale. L’autismo è un caso di figura che non può accedere alle protezioni necessarie (involucro sonoro – musicale, D. Anzieu 1977, E. Lecourt 1983 et 1987) per fare del sonoro un mezzo d’espressione e di comunicazione. Sordità e ipersensibilità manifestano insieme questa carenza, l’esperienza sonora si ritrova in forma traumatica. Il comportamento di tapparsi le orecchie, così frequente in alcuni autistici, esprime fisicamente la problematica dei limiti ( con il paradosso che le orecchie tappate permettono alle volte di preservarsi una certa possibilità di ascolto). Sperimentare gli estremi sonori – grave/acuto, forte/debole – fa ancora parte di ciò che osserviamo a questo proposito.
Vorrei ora spendere qualche parola riguardo la problematica della percezione del sonoro. Osserviamo in alcuni pazienti dei momenti di assenza nei quali sembrano totalmente assorti da una musica, o da un suono (spesso anche un suono per noi quasi inaudibile), questi comportamenti superano quella che per noi potrebbe essere una sorta di seduzione, questa attrazione può produrre degli effetti freezing, abbiamo distinto, a questo proposito, quello che potremmo definire un “son passeur”, un suono che produce magicamente un apertura – esperienza frequente nelle sedute di musicoterapia – dall’ “effetto pan” che gela (E. Lecourt 1991 et 2002).
La problematica della perdita sonora si manifesta attraverso l’inibizione sonora, l’impossibilità di produrre un suono, il terrore legato alla espulsione sonora. I rumori, i suoni prodotti sono allora vissuti come parti del corpo espulse (il legame organo-oggetto è stato ben analizzato da P. Castoriadis-Aulagnier, 1975), essi possono tornare come oggetti persecutori, o ancora possono svuotarsi in un movimento di scarica sonora che lascia il produttore come devitalizzato.
La produzione sonora è separazione, la percezione del proprio suono rende più drammatica questa separazione, attraverso l’eco del contesto sonoro, l’acustica del luogo. Notiamo che questi bambini sono particolarmente sensibili al contesto, basta fargli cambiare luogo scegliendo dei contesti acustici molto differenti (esterno/interno, stanze insonorizzate, stanze rumorose, ad esempio), o osservare la maniera in cui, con le loro grida, i loro spostamenti, etc., esplorano l’acustica di una stanza.
Partendo dalle tre problematiche che abbiamo appena presentato, possiamo facilmente immaginare le conseguenze sulla relazione all’oggetto sonoro, in questo quadro la questione della distanza è centrale, nello specifico, la questione della buona distanza. Proiettato, inglobato, assorbito, espulso, interiorizzato etc., l’oggetto sonoro deve costituirsi come delimitato, separato e offrire le condizioni per una possibile relazione. E’ l’ obiettivo della musicoterapia, riuscire a creare una relazione, giocabile, che abbia senso per entrambi i partner. Il ruolo della voce è particolare, seducente al rischio della confusione, dell’assorbimento, estranea, de-personalizzata. Per l’autistico la voce dell’altro sarà alle volte udibile, altre volte inaudibile, in funzione di questa relazione.
Vogliamo qui presentare i risultati ottenuti da 14 valutazioni ( undici maschi e tre femmine) suddivisi in due sottogruppi d’età: otto bambini tra i quattro e gli otto anni, e sei bambini tra undici e quindici anni. Possiamo dire, con un primo sguardo, che i nostri risultati mostrano una grande diversità di profili, ma con alcune linee direttrici sulle quali torneremo in seguito.
In generale sono le problematiche riguardanti il rapporto tra interno/esterno e la relazione all’oggetto sonoro che differenziano la maggior parte dei profili ottenuti.
Le risposte alle prime questioni riguardanti la sensibilità sonora confermano totalmente le osservazioni cliniche già citate: sull’insieme di questa popolazione, in tutti i casi senza eccezioni il contesto si pone il problema di una possibile ipoacusia (possiamo osservare che l’abitudine di tapparsi le orecchie, frequentemente osservata, si ritrova qui solo nel 36% dei casi), e nell’ 86% dei casi il bambino dall’impressione di possedere attitudini musicali.
Questo risultato, totalmente paradossale, è al centro della nostra riflessione sul ruolo del sonoro e della musica nella relazione. Abbiamo, in precedenza, analizzato ( E. Lecourt, 1994) come la struttura musicale è fondata sull’intervallo sonoro, nel tempo (ritmico), e nello spazio ( melodico e polifonico), struttura, dunque, relazionale. Le opere musicali di tutti i continenti esprimono l’infinita varietà di questa messa in relazione.
Tra tutte le produzioni sonore generali studiate, ci soffermeremo qui su quelle legate al vocale. E’ questo il caso delle condotte d’eco. Alla domanda “gli è mai capitato di fare l’eco del contesto ripetendo dei suoni, musiche, rumori, parole?”. Abbiamo ottenuto un po’ più della metà di risposte affermative (57%). Quando abbiamo specificato il rapporto con la voce dell’altro e la correttezza della ripetizione (timbro, intonazione), abbiamo ottenuto il 28% di risposte positive e la stessa percentuale, all’opposto, per un comportamento di ecolalia propriamente detto. Altre questioni specificando le condotte vocali, trovano risposta, ad esempio la parola-suono – la parola sentita e usata per il suo suono – ha una grande importanza per tutti i bambini studiati. La metà del campione ha accesso alle frasi melodiche. Riso e pianto sono apparsi più spesso di quanto ci aspettavamo (pensiamo alla non reattività di certi pazienti alle situazioni emozionanti), e li riscontriamo più spesso fra i soggetti più giovani. Per contro il grido, con la sua intensità e la violenza delle sue frequenze acute lo abbiamo riscontrato in diversi casi con l’importanza che gli riconosciamo. Ci soffermeremo un po’ su questa condotta sonora.
Il grido rappresenta bene il prototipo della reazione emozionale dell’uomo, e anche ciò che lo riavvicina di più, nell’espressione sonoro, all’animale. Se negli anni settanta nascevano alcune terapie che utilizzavano il grido (bioenergia, terapia emozionale, grido primario), esso era già stato uno dei primi oggetti di riflessione di Freud, che da L’esquisse ( S. Freud 1895) si interroga su queste condotte sonore. Ecco un breve passaggio: << … ci sono, in primo luogo, degli oggetti (delle percezioni) che scatenano un grido in quanto provocano una sofferenza. E’ un fatto estremamente importante, osservare che questa associazione tra un suono ( che da ugualmente luogo alle immagini motrici dei movimenti del soggetto stesso) e la percezione che già di per è un complesso, possa incrementare il carattere “ostile” dell’oggetto e servire a dirigere l’attenzione verso una percezione. Le nostre grida possono conferire il suo carattere all’oggetto, quando altrimenti, e a causa della sofferenza, non potremmo avere alcuna nozione qualitativamente chiara. Questa associazione fornisce dunque la maniera per rendere coscienti dei ricordi penosi e di attirare su di essi l’attenzione: la prima categoria dei ricordi coscienti è così creata. Da qui restano solo pochi passi da fare per scoprire il linguaggio.>> (p.377). Queste grida sono dunque un primo riferimento dell’esperienza, a partire dalla sofferenza, e una prima forma di classificazione degli oggetti:gli oggetti che causano le grida (l’oggetto cattivo di M. Klein?) Freud sottolinea lui stesso l’importanza di questo riferimento psichico “di estrema importanza”. Avvicineremo questa osservazione al concetto di significante di delimitazione” proposto da G. Rosolato(1985). Siamo qui ben oltre la base di uno spazio sonoro abitabile poiché mentalizzato. Ed è a questo primo livello che possiamo situare buona parte del lavoro musicoterapeutico con questi pazienti. Freud prosegue del resto “abbiamo così scoperto ciò che caratterizza il processo del pensiero cognitivo, il fatto che l’attenzione si applica sin dall’inizio agli avvisi di scarica del pensiero, e cioè ai segni del linguaggio”(idem). Questo processo di delimitazione si concretizza, a partire dal grido, attraverso differenti riferimenti, alla base dello sviluppo del linguaggio, e alle fondamenta della musica. Successivamente Freud sarà ancora sensibile alle manifestazioni sonore di certi pazienti, come i tic sonori, le crisi di grida, ed alle crisi soffocate che a lui paiono percepibili in alcuni comportamenti
compulsivi (E. Lecourt, 1992). E’ interessante osservare a questo proposito che invierà a Jung un paziente colpito da un accesso di grida che gli sembrava oltrepassare le sue competenze. Jung diagnosticherà una psicosi e accosterà questi attacchi a momenti di rottura con la realtà e a condotte autoerotiche. Tutto ciò ci riconduce alle problematiche riscontrate nelle condotte artistiche. La modulazione, l’armonizzazione, o meglio la melodizzazione del grido – nel caso di bambini che presentano questo tipo di condotte – costituiscono per un musicoterapeuta come Clive Robbins, un obiettivo nella creazione della relazione musicoterapeutica, prendendo questa, successivamente, nella pratica di questo autore, una dimensione più pedagogica (P. Nordoff, C. Robbins, 1977).
Continuando la disamina delle produzioni vocali, in seguito, troviamo le chantonnement. Nella nostra ricerca, un punto comune tra i due gruppi d’età è il ruolo del canticchiare utilizzato prima di addormentarsi, così come per cullarsi (50%). Condotte di canticchiare più stereotipate possiamo osservarle nei bambini più grandi della nostra popolazione, così come sono presenti variazioni e improvvisazioni. Invece, la ripetizione di melodie sentite la riscontriamo più sovente nei bambini più piccoli. Possiamo, inoltre, osservare che i bambini che più hanno beneficiato della musicoterapia utilizzano più spesso il canticchiare. Ci siamo, in particolare, interessati al confronto dei profili ottenuti tra i bambini che usano la lallazione e gli altri. Abbiamo ipotizzato che le chantonnement è un comportamento più elaborato (sia per il movimento di interiorizzazione che per il processo di strutturazione che lo fonda).
Ecco alcuni risultati: in generale, sull’insieme delle voci del questionario, la curva ottenuta dai bambini che non canticchiano si scosta nettamente dalla curva ottenuta dai bambini che canticchiano (risultati superiori di quest’ultimi sull’insieme delle voci) e ciò, in particolare, sulle problematiche dei confini interno/esterno e della relazione all’oggetto. Anche l’ultima categoria, che riguarda gli elementi di strutturazione musicale, li distingue nettamente, come potevamo aspettarci. . La questione della strutturazione del sonoro ci induce a interrogarci sulla relazione con la parola. Abbiamo dunque confrontato i bambini in grado di usare la parola (frasi semplici) con quelli che si limitano ai suoni, parole-suono o parole isolate. Possiamo osservare che le curve con parola/senza parola, si incontrano su tre voci che sono uguali alle precedenti: interno/esterno, relazione all’oggetto sonoro, e strutturazione del sonoro. La presenza della parola non differenzia il livello di strutturazione musicale, cosa che può sorprendere, invece le risposte alle problematiche della percezione sonora e della perdita sonora (risultati nettamente inferiori per i bambini con parola) sono del tutto convincenti. Questi risultati mostrano che le distinzioni sono più nette, per quanto riguarda la presenza del “canticchiare”, nelle voci “interno/esterno” e “relazione all’oggetto sonoro”, e per ciò che concerne la “presenza della parola”, e infine, per le voci “percezione sonora” e “perdita del suono”. Questi primi risultati dovrebbero arrichire la nostra riflessione per la prosecuzione di questa ricerca. Incrociando le voci “canticchiare” e “parola” abbiamo ottenuto i risultati seguenti: le curve con canticchiare e con parola si trovano regolarmente parallele sulle cinque voci del questionario, la curva canticchiare dà sempre risultati superiori. Infine, anche le curve dei bambini senza canticchiare e senza parola sono relativamente parallele sulle cinque voci, con forse una lieve superiorità nella voce “interno/esterno”, per i bambini senza parola. Quest’ultime curve ci permettono di constatare risultati migliori su tutte le voci per le condotte di chantonnement rispetto alle condotte verbali, da un lato, e la superiorità nell’insieme dei risultati dei bambini senza parola rispetto ai bambini senza canticchiare. E’ notevole che i risultati di quest’ultime quattro seguono un profilo relativamente comune, con dei picchi alle voci “interno/esterno” e “relazione con l’oggetto sonoro”. Possiamo ancora osservare che il confronto maschio/femmina (benché poco significativa viste le poche femmine presenti nel campione) ci da due curve nettamente divergenti con tuttavia un punto d’incontro: la problematica della percezione sonora. Infine, il confronto secondo l’età da anch’esso due curve nettamente differenti, avendo i più grandi dei risultati migliori nell’insieme delle voci.
L’insieme di questi risultati confermano, allo stesso tempo, la relazione ed il divario tra lo sviluppo della parola e quello delle condotte musicali e, più specialmente, vocali.
Ci rimane da considerare un altro aspetto molto importante delle condotte sonore: le reazioni all’ascolto di musiche. E’ ciò che affrontiamo nella seconda parte della ricerca, l’ascolto di registrazioni di sei estratti sonori. Quest’ultimi sono stati scelti in funzione di caratteristiche specifiche, tenendo conto dei limiti dell’attenzione di questi bambini. Abbiamo così utilizzato degli estratti da uno a due minuti divisi da alcuni secondi di silenzio, per osservare le reazioni del bambino alla presenza /assenza della musica, ai contrasti della musica, alle rotture, all’abitudine e anche alla ripetizione (il primo e l’ultimo estratto erano gli stessi). L’osservazione riguarda anche, ovviamente, la relazione tra il bambino e l’osservatore in questa situazione. Gli estratti utilizzati sono: una forma di berceuse con voce femminile(documento etnomusicologico pre-test in una precedente ricerca sull’emozione); musiche e rumori d’acqua (questa associazione è regolarmente usata in musicoterapia in turchia; R. Benenzon, musicoterapeuta argentino utilizza un bacino d’acqua per fare dei giochi sonori con gli autistici); percussioni (brani puramente ritmici, ad una sola percussione), cori umani: voci gravi tibetane; rumori metallici musicali ( opere di musica concreta di P. Schaeffer); infine, ritorno al primo brano più cullante.
Abbiamo scelto un timbro metallico nel quarto brano per l’importanza dell’interesse che questi bambini mostrano verso gli strumenti metallici (timbro e durata dell’oggetto).
Per quanto riguarda la nostra riflessione sulle condotte vocali voglio sottolineare i seguenti punti: in generale l’insieme dei bambini hanno mostrato poche manifestazioni comportamentali e sonore in relazione con l’ascolto di queste musiche. Questo ci riporta alla paradossalità già sottolineata all’inizio di questa esposizione. Tuttavia, le due scelte di musica vocale, di certo molto particolari poiché una riguarda la berceuse e la voce femminile, l’altra su un coro di uomini negli estremi di suoni gravi, sono anche quelle che hanno suscitato maggiori reazioni. Queste si osservano in maniera molto differente: lo stile berceuse ha prodotto comportamenti d’interesse, di calma, di avvicinamento fisico (sulle ginocchia), o di chantonnement o anche di parola “mamma”. Solo uno di bambini si è tappato le orecchie fin dal primo brano, e non ha dimenticato di tapparle anche durante l’ultimo! La maggior parte dei bambini sembra aver riconosciuto il secondo brano, anche se le manifestazioni comportamentali sono rimaste discrete (come raccogliersi sulla poltrona, o semplicemente rimanere calmo). Le reazioni più manifeste sono state provocate dal coro di uomini: voci molto gravi, molto fisici (pezzo scelto non soltanto per la voce maschile, ma anche in ragione dell’esplorazione e degli estremi e dei limiti, condotta così frequente in questi bambini). Abbiamo dunque registrato un vero e proprio successo per questo brano. Fin dai primi suoni, si nota una grande attenzione, o una sorpresa più o meno intensa, delle reazioni sonore (“oh! Boom, boom”, ad es.), i tentativi di molti bimbi di trovare questi suoni nel proprio corpo, addirittura vicine al vomito per uno di loro che ha percepito in maniera violenta l’impatto e la fonte corporea, ricerca di posizioni propizie, interpretazioni del tipo “è un signore, sta vomitando…”, ciò colpisce molto questo bambino di cinque anni che uscirà dalla seduta, rallegrato, ripetendo “è un signore che vomita!”. Un bambino si precipiterà sotto il tavolo, angosciato, e manterrà un alto livello di eccitazione fino alla fine dell’esperienza. E’ chiaro che nella maggior parte dei casi l’effetto di questo brano persiste e influenza l’ascolto del brano successivo.
Il seguito della ricerca dovrà necessariamente tener conto di questi risultati. Così per quanto concerne il timbro metallico le poche reazioni significative osservate suggeriscono che l’abituale interesse di questi bambini sembra essere legato più alla durata e alla risonanza che al timbro propriamente detto. D’altra parte abbiamo ottenuto pochissime reazioni ritmiche, ciò sembra corroborare i risultati del questionario riguardo questo parametro. Da qui nasce un altro asse di lavoro da riprendere.
Ringraziamo in particolare i professori Philippe Dardenne, Ulrique Brauner-Thibaud et Emmanuelle Pommier per la loro partecipazione alla raccolta dei dati per questa ricerca che contiamo d’altronde proseguire bene.