Il gruppo spazio analitico
C. Rouchy (1998). Borla, Roma, 2000
“Il gruppo di analisi è la creazione di uno spazio nuovo che non può essere assimilato o ridotto a quello della psicoanalisi: il progetto è identico per quanto riguarda i processi inconsci ma questi non vi si manifestano nello stesso modo”. Questa breve citazione, tratta da uno dei primi capitoli, contiene in sintesi il programma del volume di Rouchy recentemente tradotto in italiano: collocare l’analisi di gruppo all’interno della psicanalisi e, allo stesso tempo, delinearne l’irriducibile specificità. Si tratta si un compito impegnativo, che viene affrontato nel corso del libro secondo piani differenti: il riconoscimento di una dimensione gruppale come elemento costitutivo della soggettività si intreccia con la definizione del dispositivo terapeutico, gli aspetti più squisitamente clinici si articolano a riferimenti teorici di diversa provenienza. Ne risulta un lavoro complesso, aperto e sollecitante, che offre numerosi percorsi di lettura. Proprio per rispettare la struttura del libro non seguirò da vicino lo svolgimento delle argomentazioni, ma mi limiteròa tracciare le linee fondamentali e a segnalare alcuni spunti.
Anche se gli aspetti sociali-gruppali dell’identità non sono mai statidavvero estranei alla psicoanalisi (come testimonia l’interessante riletturatransgenerazionale del mito fondatore di Edipo), il gruppo come dispositivoterapeutico si inserisce in una zona poco illuminata della teoria freudiana,come “anello mancante” tra l’intrapsichico e lo psicosociale. Ciò significa cheil gruppo ha posto fin dall’inizio questioni inedite e in un certo sensoimpreviste, rendendo necessario un approccio basato essenzialmentesull’esperienza e sull’osservazione. Rouchy adotta in modo radicale questaprospettiva epistemologica, senza mai limitarsi alla mera esemplificazioneclinica: dalle dichiarazioni iniziali sulla complessità dell’oggetto di studioalle note sull’appartenenza istituzionale, fino alle riflessioni conclusivesulla formazione dell’analista, l’esperienza conserva un ruolo centrale diispirazione e verifica delle concettualizzazioni via via proposte.
Questo è dunque l’orientamento di base, ma qual è l’esperienza specifica delgruppo di analisi? I titoli dei primi due capitoli, potentemente evocativi, nedefiniscono le linee fondamentali: “Un passato sotto silenzio” e “All’inizioera il gruppo”. Il gruppo, per le sue particolari condizioni di setting,riattiva e rende elaborabili “elementi della storia di ciascuno che sonorimasti al punto della non differenziazione e non mentalizzazione […],allo stato di incorporati o di sensazioni che non hanno potuto prendere laforma di sentimento psicologico” (p.197). Il gruppo si configura quindi come illuogo privilegiato per tutto ciò che non può essere pensato o verbalizzato,perché il suo spazio analitico valorizza forme di espressione non verbali,”nella sua dimensione somato-psichica e interazionale, l’enunciazione èimportante quanto l’enunciato” (p. 245). A tale proposito, uno degli apportipiù originali del volume è senz’altro costituito dal tema dell’incorporazione,che Rouchy riprende dai lavori di Abraham e Torok sulla trasmissionetransgenerazionale. Originariamente descritto come un meccanismo compensatorioed anti-evolutivo di fronte a traumi intollerabili, l’incorporazione si rivelanell’elaborazione dell’Autore un potente strumento di lettura dei fenomenigruppali, consentendo un approccio originale anche rispetto a quellemanifestazioni arcaiche cui l’Autore rifiuta la qualifica di meccanismipsicotici. La caratteristica frattura tra realtà psichica e realtà esterna, gliaspetti anti-metaforici e oggettivati dell’oggetto incorporato non sono infattiesclusivi di situazioni patologiche, ma possono essere utilmente riferiti ad uncerto bagaglio di appartenenza culturale dell’individuo. All’inizio era ilgruppo e l’individuazione è un processo necessariamente incompiuto, la partepiù precoce dell’esperienza umana precede la nascita del soggetto e non puòessere mentalizzata. Gli incorporati culturali descritti da Rouchy non sonodunque “vuoti di introiezione”, ma residui “legati direttamente alla simbiosidell’unità diadica”, vengono prima e servono da base per la relazione d’oggetto”in una nescienza che non ha niente di traumatico dal momento che è il crogiolostesso della costituzione del soggetto” (p.94).
I due versanti dell’incorporazione, quello traumatico e quello culturale,rappresentano i punti cardine della trattazione. Rispetto al trauma, Rouchyriprende un tema a lui caro e sottolinea come il gruppo – pur non consentendoquell’approfondimento della storia personale garantito dall’analisi duale – siaprobabilmente più adeguato a contenere e gestire gli aspetti ripetitivi e prividi distanza temporale (transfert del tipo riedizione), consentendo di riavviareil processo di introiezione bloccato. Dal lato dell’indifferenziazioneprimaria, l’incorporazione si connette ad una fitta rete di riferimenti teoricitratti soprattutto dalla psicoanalisi infantile e dalla ricerca. Estremamenteinteressante è pure il collegamento con le formulazioni bioniane sui gruppi,cui l’Autore dedica un intero capitolo dedicando particolare attenzione alleimplicazioni cliniche di concetti apparentemente astratti come il protomentalee l’affiliazione psicologica delle malattie.
L’intrecciarsi di questi vari filoni compone un quadro piuttosto denso, chedi tanto in tanto espone il lettore alla fatica, ma che in definitivacorrisponde alle esigenze poste dal gruppo come dispositivo terapeutico e nedescrive bene le peculiarità. Se il gruppo rappresenta il contenitore deiprocessi arcaici, lo spazio transizionale tra intrapsichico e transindividuale,la zona di passaggio e di scambio tra realtà interna e realtà esterna, ènecessario dotarsi di una prospettiva multiforme e mobilissima, di concettiinsaturi e polivalenti. L’analista di gruppo si confronta continuamente constati-limite, al confine tra interno ed esterno, tra psiche e soma, traindividuo e gruppo, al limite del dispositivo e a volte della sua stessacapacità di concettualizzare. Rouchy propone un approccio aperto, che nonesclude il ricorso ad altre tecniche come lo psicodramma o il rilassamento,proprio nell’intento di cogliere sensazioni e fantasmi inscritti nel corpo eancora lontani dalla possibilità di essere pensati. La scelta di un dispositivo”misto” può suscitare perplessità, ma il tentativo è comunque stimolante perl’accentuazione posta sulle “tracce impensabili” che “emergono da sensazioniche possono prendere la forma di sentimenti, poi di idee”, formando legami “siacon ciò che avviene nelle sedute sia con le reminiscenze di una storiaframmentata” (p. 245). Per quanto riguarda la tecnica analitica all’interno delgruppo, Rouchy insiste sulla necessità di trasformare i meccanismi ripetitivied automatici consentendone il dispiegamento nel contenitore gruppale e nellamente dell’analista, che creerà nessi e troverà simboli senza necessariamenteprovvedere ad un’immediata restituzione. L’interpretazione, che è comunquesempre rivolta ai livelli gruppali nella misura in cui riguarda “ciò che fondai rapporti tra individuo e gruppo in modo inscindibile” (p. 60), spesso deveessere “tenuta presente ma non enunciata” per permettere di “[…]esplorare gli eventi che si producono e per la ricerca di senso con i membridel gruppo”. Il ruolo dell’analista è quello di “sostenere e accompagnarel’analisi attraverso i pazienti” (p. 221-222), facendo appello alla propriacapacità di rêverie e seguendo il proprio controtransfert fin nelle sfumaturesomatiche. Metabolizzazione è il termine chiave – segnala l’Autore- perl’analista come per i pazienti, nelle sue sfumature temporali e trasformative enel suo imprescindibile “transito attraverso il corpo”.
È interessante notare come Rouchy assuma una posizione decisa rispetto allapertinenza dell’utilizzazione nei gruppi delle categorietransfert-controtrasfert, con l’accortezza di superare però una concezionepuramente intrapsichica. La necessaria considerazione dei contesti in cui lacura ha luogo e le appartenenze dei membri assume una particolare valenzariguardo all’analista, che fin dall’atto di costituire il gruppo(controtransfert anticipato) riversa in esso “elementi del proprio gruppoprimario che hanno assunto una dimensione professionale” (p. 121) proprioattraverso i suoi gruppi di appartenenza secondaria istituzionali epsicoanalitici.
Segnalo infine due ulteriori spunti clinici che testimoniano la validitàdella prospettiva offerta. In primo luogo, l’agito nel gruppo può essereriletto come il tentativo del paziente di “imporre al dispositivo il modellodel proprio gruppo di appartenenza primaria”, o più precisamente di ripetere “itraumi, gli eventi che hanno attaccato l’integrità del contenitore familiare”(P. 216). La necessità di preservare il dispositivo non può dunque tradursi inun atteggiamento difensivo, ma chiamerà in causa la sensibilità dell’analistarispetto al senso dello scenario, appunto “secondo tracce impensabili”. Lastessa linea di pensiero (e di intervento) permette di comprendere l’impattoterapeutico del gruppo analitico su quei pazienti la cui partecipazione verbaleè scarsa o assente: essi “[…] vi acquisiscono una potenzialità dimetaforizzazione delle tracce impensabili. Non si giovano solo dell’esperienzadegli altri, o della catena di associazioni, ma dell’elaborazione degliincorporati e del processo che a poco a poco si sviluppa. La partecipazione alprocesso è molto più essenziale in rapporto all’emergere del protomentale, alladifferenziazione del gruppo primario e all’individuazione” (p. 218-19). Equesto è, in conclusione, il lavoro analitico che si svolge nello spazio delgruppo.