“L’analista nel gruppo, senza memoria senza desiderio senza comprensione”. Intervista a Stefania Marinelli

Presentazione

di Sabrina Di Cioccio

L’intervista a Stefania Marinelli di Alessandra Sansalone è una minuta preziosa circa la funzione elicitata dalla presenza dell’analista all’interno del dispositivo gruppale.

Attraverso il riferimento alla propria pratica clinica, Marinelli ripercorre alcuni dei concetti fondamentali dell’insegnamento di W. R. Bion declinandoli direttamente all’interno di quella dimensione di campo entro cui le potenzialità evolutive e trasformative del gruppo potranno realizzarsi.

Quale posto occupa l’analista?

E’ attorno a questa domanda che si articola l’intervista di Sansalone, permettendo che la funzione del gruppo venga spiegata in qualità di contenitore e allo stesso tempo di contenuto rispetto a ciascuno; che sia presentato il rapporto tra individuo e campo; che sia possibile leggere nell’ascolto analitico che ha sospeso l’urgenza di comprendere, la possibilità per il soggetto di tendere verso la propria verità.

Stefania Marinelli nel declinare il saper stare dell’analista nel presente psichico della seduta, ci introduce a quel che è inteso come fondante nell’accesso a questa esperienza, per senza memoria, senza desiderio, senza comprensione.

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Intervista a S. Marinelli

di Alessandra Sansalone

L’analista nel gruppo,“senza memoria senza desiderio senza comprensione”

Sansalone. Nel libro Sentire (2000), presenta il caso da Lei condotto di un gruppo di sole donne che portano in seduta, elementi caotici infine manifestati con l’insorgenza di malattie somatiche a catena.

Gli elementi che si sono scatenati all’interno di questo gruppo erano forti e trascinanti, si potrebbe dire che confluiscano in quelli che Bion ha denominato assunti di base.

In relazione alla sua personale esperienza, in che modo l’analista dovrebbe affrontare questo stadio di regressione del gruppo affinché non venga lui stesso sommerso da sentimenti primitivi?

Marinelli. Bion ebbe l’occasione di definire la seduta analitica come un luogo dove dialogano due persone angosciate, di cui si presume che una sia un po’ meno angosciata dell’altra. Credo che nel gruppo questo stato di cose da un lato aumenti, proprio per l’emergere immediato e amplificato degli elementi psichici più indifferenziati e sociali; e anche perché l’assetto personale dell’analista è maggiormente esposto.

Ma dall’altro lato si può considerare che il gruppo amplifica la scena psichica, la rende multipla e condivisa in modo tale che essa presenterà enne dimensioni di senso e di affetto, come ha chiarito Francesco Corrao in molti dei suoi scritti1 e in particolare nel libro su Mito Passione Memoria (1992).

Proprio per questo se gruppo e analista lavorano bene e dunque se la funzione reciproca di contenitore-contenuto è attiva, anche il contenimento e il sostegno avranno carattere più articolato e sociale. In un certo senso anche l’analista e i suoi elementi coinvolti direttamente nel processo di gruppo saranno contenuti dal campo stesso del gruppo e resi elaborabili, sempre se il dispositivo di lavoro funziona e se l’analista può mantenere quote mentali indipendenti e libere di pensare creativamente (Neri, 1995).

Se è vero che l’analista deve fronteggiare uno stato regressivo anche massiccio del gruppo e di tutti o parte dei suoi membri, è vero pure che egli è a sua volta contenuto dal gruppo, che egli ha generato e continua a contenere con atti di mentalizzazione di elementi anche caotici e indicibili. Soprattutto nei momenti critici va considerata la funzione reciproca: il gruppo cerca la mente dell’analista per poter pensare e sognare, per essere rassicurato che i suoi contenuti verranno accolti e sarà possibile rielaborarli e l’analista sarà abbastanza sicuro da ospitarli in sé, dare loro legittimità e comprenderli. Anche l’analista cerca il gruppo, per creare un legame e rappresentare una scena psichica nella quale i suoi elementi siano esplicitati e vissuti. Egli lavora nella direzione del contenimento quando sente che il gruppo lo contiene, quando si sente rappresentato nel gruppo e pensa di poter individuare il suo campo emotivo e mentale, identificandosi almeno in parte con le sue criticità e i suoi movimenti.

E’ importante sempre ricordare che la funzione mentale che lavora nel gruppo e che lavora all’interno della mente individuale (funzione alfa-gamma) ha soprattutto carattere di reciprocità e scambio e che proprio per questo la continua comunicazione/oscillazione degli elementi psichici fra poli di individuazione e di ritorno all’indistinzione crea una garanzia di veridicità e stabilità dei processi psichici e della loro possibilità evolutiva.

Non penso che l’analista rischi di essere sommerso dalla presenza e dal lavoro degli elementi turbolenti, quando considero che la turbolenza contiene un fattore evolutivo. Certo per il processo di gruppo e dell’analista è importante che una parte delle sue funzioni mentali sia preservata e sia mantenuto stabile il dispositivo di lavoro: ad esempio la cognizione dei limiti e dei confini del gruppo; l’individuazione del campo generale nel quale il lavoro si svolge e la discriminazione degli elementi che ne fanno parte; la consapevolezza delle difficoltà o eventualmente in casi estremi delle tendenze esplosive o spinte alla deriva. L’analista deve cogliere in ogni fase e momento della vita del gruppo le possibilità di lavoro evolutivo e trasformativo che il gruppo contiene – e queste a ben vedere, scavo dopo scavo, riconoscimento dopo riconoscimento, si trovano anche nella situazioni più gravi. E’ senz’altro però vero che l’analista deve anche essere pronto a bilanciare le sue risorse di pensiero e di vita con quelle eventualmente distruttive che si stiano presentando nel suo gruppo: se l’analista è consapevole di un certo numero di rappresentazioni di sé e di dinamiche del suo mondo interno sarà anche consapevole dei suoi limiti e quindi delle possibilità di contenimento e trasformative a cui potere attingere.

Sansalone. Quanto è importante la scelta del “metodo” in un contesto di gruppo, rispetto invece al contesto duale analista-paziente?

Marinelli. Si tratta di un tema di fondo. Se il modello e la tecnica dell’analista sono orientati non all’analisi del singolo in gruppo, bensì all’analisi dell’elemento comune, sociale (la connotazione in inglese di “social” è diversa dalla traduzione italiana “sociale”, maggiormente legata all’idea di società politica ed economica); e se è la nozione di “campo psichico” ad orientare il processo di lavoro del gruppo (cfr. come la nozione è stata concettualizzata soprattutto nella tradizione di studi bioniani da Corrao; Neri; Correlae; Gaburri, tra i più significativi) in questo caso anche la dinamica di gruppo è più centrata sui movimenti confluenti nel campo condiviso e sulla relazione che i partecipanti intrattengono con l’appartenenza al campo mentale comune. In questo caso la relazione con il benessere o malessere del gruppo in toto e con la sua capacità evolutiva è altrettanto importante e vitale di quella con il benessere o malessere del singolo. Nel transfert della seduta individuale direi piuttosto, certo l’orientamento del lavoro e del metodo cambiano in relazione alla posizione teorica e al modello tecnico – direi che il “campo” ampliato delle fenomenologie psichiche attive in una seduta resti più sullo sfondo o meglio più interno alla mente dell’analista come un contesto di riferimento che gli consente di aiutare l’analizzando ad esplorare le quote non soggettivate e indistinte della sua mente. Direi che l’analisi del “campo” gruppale (sia della mente sia delle relazioni) del singolo, non sia un motore primario del lavoro analitico (del “metodo”) nel setting individuale, come invece avviene nel gruppo condotto con un modello (“metodo”) che privilegia il processo “sociale”.

A meno che non consideriamo quegli psicoanalisti, come A. Ferro, che hanno teorizzato proprio il lavoro con il modello di “campo” più in generale, anche nella seduta singola e non necessariamente all’interno del microgruppo analitico, privilegiando l’ascolto multiplo della comunicazione psichica del paziente e valorizzando la sua collocazione “sociale”. Oppure quegli autori che hanno studiato la natura triadica e teatrale del transfert analitico, come Chianese; o quelli che hanno individuato la gruppalità interna della mente (in Italia soprattutto Napolitano), mentre altri hanno evidenziato la natura “trans-personale” di alcune sue dimensioni (Neri); o hanno individuato l’area psichica indefinita che lega i soggetti non ben individuati al “campo istituzionale” (Correale) o che più in generale permea la quota indifferenziata di tutte le relazioni sociali e istituzionali.

Rimane da indagare, se parliamo nei termini di un metodo sociale e non individuale di lavoro, il legame fra individuo e campo, fra individuo e gruppo. Se immaginiamo infatti che il processo di gruppo proceda in un tempo lungo, sia che questo avvenga per “fasi” evolutive e individuanti, come è descritto da Neri (1995) sia che la finalità del processo consista piuttosto nel bisogno di confermare la soggettività di organismo sociale e sviluppare la funzione analitica multipla e sincronica della koinonìa, come è descritto da Corrao – sembra in tutti i casi necessario affrontare il tema dell’eventuale iato fra la posizione individuale all’interno del gruppo e quella della appartenenza al campo comune, che può presentarsi specie nelle fasi iniziali del processo, come sincretica. Una nozione interessante da questo punto di vista per la cui trattazione più estesa rimando a diverse ricerche di Neri2 è la nozione di commuting: una funzione centrata sulle processualità e le aree psichiche del gruppo capaci di scorrere dal campo emotivo comune a quello interno del singolo partecipante, e viceversa, costruendo collegamenti e scambi indispensabili (Neri, 1995).

Sansalone. Bion parla dell’analista come colui che all’interno del percorso analitico opera senza memoria, senza desiderio, senza comprensione: un analista per Bion, deve inoltre imparare a sopportare la frustrazione di non sapere.

Quanto queste parole hanno influito sulla sua esperienza con i gruppi e in tal caso, in che modo?

Marinelli. Un po’ come i fari per le navi, che indicano la rotta e confortano la navigazione nella notte, assicurando la direzione: diciamo come un ancoraggio per la mente che naviga senza ancore.

Sansalone. Per concludere, potrebbe introdurci a che cosa intendeva Bion con il concetto di “Capacità Negativa”?

Marinelli. Io credo che Bion abbia ribadito con insistenza metodica in tutta la sua opera il valore della capacità negativa dell’analista, trattandola via via nell’ambito di tutte le sue teorizzazioni e mettendola in rapporto con i diversi costrutti. Fondamentalmente la nozione di Capacità Negativa è correlata con quella di “ascolto privo di memoria desiderio comprensione”: cioè la capacità dell’analista di continuare a pensare come un generale dell’esercito in guerra, come ebbe modo di esprimersi Bion, anche sotto i bombardamenti. La capacità di tollerare il conflitto anche estremo senza perdere la possibilità di contenerlo, senza desiderare di averne una rappresentazione o spiegazione immediata, tollerando invece il dubbio e l’ignoranza; senza voler curare il conflitto o tentare di cambiarlo e dare risposte, saturando così con risposte il campo emotivo della seduta e perdendo il valore di apporto che il conflitto può dare all’evoluzione della vita psichica del soggetto: l’apporto dato dall’elemento psichico arcaico, o protopsichico, non evoluto, non integrato nella personalità singola o nel campo sociale del gruppo, alla trasformazione del processo analitico e alla evoluzione della relazione di lavoro.

La capacità negativa dell’analista non è collegata al desiderio di curare bensì tende ad “essere”, o stimolare, la verità stessa del paziente (la sua “O”); a condividere nell’intimità del metodo analitico il riconoscimento e la trasformazione degli elementi sconosciuti (o rifiutati, negati in quanto sgraditi e dolorosi) che saranno stati enucleati e a cui diventerà possibile conferire significato, forma, collocazione che prima non potevano avere. E’ la capacità di non difendersi dall’avvicinamento dell’ignoto e del pauroso usando la memoria di ciò che è trascorso e noto, oppure usando il desiderio di ciò che potrebbe o dovrebbe essere nel futuro; o anche attivando una comprensione cognitiva che limita l’alone degli elementi inconsci e la loro capacità di scorrere e mostrarsi all’ascolto dell’analista: l’ascolto che per Bion è non solo “attento” e fluttuante, come per Freud, ma anche “sognante” (dream like), privo di memoria desiderio comprensione, radicato nella capacità negativa di rappresentare l’assenza e l’ignoto. E’ la capacità di essere nel presente psichico della seduta, anche quello negativo di ciò che ancora non c’è, rinunciando al piacere e al narcisismo dell’atto intellettivo del “capire”, a favore della possibilità di attraversare la turbolenza, il caos, l’incomprensibile, decostruendo le certezze per ricostruire, dopo infinite crisi del senso, ancora oggetti e processi nuovi, per facilitare la possibilità che sia il campo emotivo stesso che ne emerge a cercare ulteriori verità e costrutti che eventualmente creino un ordine diverso.

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STEFANIA MARINELLI è Professore associato di Psicologia clinica presso la Facoltà di Medicina e Psicologia della Sapienza Università di Roma. E’ Psicoanalista di gruppo con funzioni di training presso l’IIPG, Istituto Italiano di Psicoanalisi di Gruppo.

Ha fondato nel 2000 l’Associazione per la Ricerca sul Gruppo Omogeneo (ARGO), di cui è stata presidente fino al 2007.

Nel campo della ricerca, dirige la collana Individuo e Gruppo per le edizioni Borla; e coordina in collaborazione con il direttore Claudio Neri la rivista Funzione Gamma (Internet Journal,http://www.funzionegamma.edu).

Ricordiamo fra le monografie: Contributi della psicoanalisi allo studio del gruppo (Borla 2008); Psicoanalisi del legame dipendente (Borla 2008); e la cura di: Studi ed esperienze a partire da Bion (Borla 2010); Gruppi omogenei, con S.Corbella e R.Girelli (Borla 2004); Mito Sogno Gruppo, con F.N.Vasta (Borla 2004).

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Bibliografia

Bion, W.R. (1961). Esperienze nei gruppi. Roma: Armando, 1971.

Corrao, F. (1992). Modelli psicoanalitici. Mito, passione, memoria. Bari: Laterza.

Corrao, F. Orme Contributi alla psicoanalisi di gruppo vol. II. Milano: Raffaello Cortina, 1998.

Marinelli, S. (2000). Sentire. Saggi di psicoanalisi clinica. Roma: Borla.

Marinelli, S. (2008). Contributi della psicoanalisi allo studio del gruppo. Roma: Borla.

Marinelli, S. (2008). Studi ed esperienze a partire da Bion. Roma: Borla.

Neri, C. (1995). Gruppo. Roma: Borla, 2001.
Neri, C. (1996). L’assetto mentale dell’analista al lavoro nel gruppo. Koinos, XVII, (2).

Neri, C., Correale, A., Fadda, P. (1994). Letture Bioniane. Roma: Borla.

 

1 Vedi il vol. II della raccolta delle opere, Orme, Raffaello Cortina, Milano 1998.
2 Vedi in particolare Gruppo, l’edizione del 1995 e del 2002, Borla; e diversi articoli, pubblicati in riviste e raccolti nel Sito, www.claudioneri.it