Le ali di Icaro. Capire e prevenire gli incidenti dei giovani

Bollati Boringhieri, Torino. Carbone P. (2009)

In concomitanza e in stretto collegamento tematico con l’uscita dell’edizione 23 della presente rivista, consiglio vivamente la letturadel volume Le ali di Icaro. Capire e prevenire gli incidenti dei giovani, nellasua seconda edizione, arricchita in maniera tale da risultare in più partiqualitativamente diversa rispetto alla prima, come ben documentato nellapresentazione di Nino Dazzi.

Utilizzando in diversi capitoli una feconda e articolata lettura del mitodel giovane Icaro, l’autrice trae così lo spunto per affrontare inmaniera scientifica lo spinoso e toccante tema dell’incidente in etàadolescenziale. Il vertice da cui la studiosa osserva e spiega il fenomeno èquello propriamente psicoanalitico, pur avvalendosi di osservazioni e datiprovenienti da ambiti pluridisciplinari, come d’altra parte lacomplessità del tema richiede.

Lo sforzo intellettuale e l’impegno scientifico dell’autrice sidispiegano su più livelli di analisi, che attraversano il volume, in sensocronologico e non solo, perché in più parti alcune problematiche affrontateall’inizio sono poi riprese e arricchite in un circuito virtuoso allaluce di ulteriori riflessioni e apporti, di natura teorica e clinica. Tuttoquesto avviene in maniera tale che il lettore sia sempre accompagnato in unpercorso caratterizzato da interrogativi critici e relative riflessioni, con unlinguaggio e un ritmo di esposizione molto ben calibrati. Il primo risultainfatti sempre chiaro e accessibile, senza per questo che i contenuti risultinobanalizzati, il secondo consente a chi legge di mantenere un proprio spazio dipensiero parallelo sugli argomenti via via trattati, senza subire un incalzaredegli stessi. Il volume credo si presti anche per questo motivo molto bene nonsolo come strumento di conoscenza teorico-clinica ma anche come occasione diriflessione personale rispetto a un tema verso il quale è difficile, e forsenemmeno utile, mantenere l’assetto di semplice lettore-osservatore. Daquesto punto di vista, è davvero un importante ausilio alla riflessione lalettura del mito che viene proposta nelle sue varie parti e sfaccettature:l’Icaro prima di andare a Creta (un ragazzo che aveva già creato deiproblemi alla madre col suo comportamento, il ruolo di Dedalo, l’immaginedi Icaro a cui il volume peraltro si ispira, quella «imprevedibile erivelatrice […] di una statua romana della collezione capitolina, cherappresenta Icaro come un adolescente bellissimo, pensoso e infinitamentetriste». Tornerò poco più avanti su quest’ultimo aspetto che rappresentauna delle ipotesi teorico-cliniche del lavoro, confermata dalla ricerca sulcampo.

Un primo elemento su cui viene condotta l’attenzione del lettore èl’analisi della serie di idee malintese e di pregiudizi che aleggianointorno al concetto di rischio e, a cascata, intorno a quello di comportamentoa rischio e di incidente nell’immaginario collettivo, quindi sia da partedegli adolescenti, sia degli adulti (genitori, insegnanti, medici, operatori diaiuto vari). Il volume inizia infatti col voler dipanare qualche cosa diambiguo e confusivo che riguarda la nozione di rischio, nella quale a partiredalla neutralità dell’originario significato in ambitomatematico-probabilistico, si sono sommate sfumature diverse, fra cui quellamorale della colpa, in riferimento all’intenzionalità del comportamento arischio, e quella sociale del pericolo, che risente necessariamente delcontesto culturale di riferimento. Nello studio e nella comprensionedell’incidente giovanile o – per meglio dire – del giovaneincidentato, la studiosa si impegna in primo luogo a fare chiarezzaterminologica nella condivisibile convinzione che «le parole non sono neutreconvenzioni, ma indicatori della direzione delle nostre azioni e quindidell’atteggiamento della nostra società nei confronti dei giovani e deipericoli a cui sono esposti», suggerendo, tra le varie ipotesi, di doverdistinguere fra: rischio inteso come calcolo probabilistico di un evento attesoe percezione soggettiva del rischio, sottolineando come sia quest’ultimala discriminante alla base del comportamento; un agire adolescenziale persperimentare e un agire con connotati di fuga dalla consapevolezza (a parità di“comportamento a rischio” manifesto); l’incidente estremo, acui la cronaca mediatica dedica grande attenzione, e l’incidente“di poco conto”, evidenziando come quest’ultima tipologia(sia esso stradale, sportivo, domestico ecc.) meriti altrettanta attenzionespecialistica, dato che esiste una «maggioranza di giovani che rischiasilenziosamente».

Un secondo elemento – che collocherei certamente tra le idee portantie innovative che il volume espone – riguarda la prevenzione, ossia unadisamina di come ad oggi si applica prevalentemente la prevenzione primaria esecondaria e con quale idea sottesa riguardo a tali interventi. La critica cheviene posta dall’autrice è che gli interventi sono basatifondamentalmente sul fornire informazioni relativamente ai comportamenticosiddetti a rischio e alle possibili conseguenze sul giovane e sulla sua sferadi relazioni. Tutto questo è ritenuto non sufficiente e nemmeno particolarmenteefficace. Il motivo addotto non è tanto e non solo quello, per certi versiscontato, che forse può ipotizzare il lettore, e cioè che essendo la gamma diincidenti infinita, si pone comunque il problema di come fornireun’informazione che sia esaustiva per tutta la gamma e nello stesso tempoche raggiunga in maniera “personalizzata” il giovane cheascolta.

Il motivo addotto e molto ben giustificato è di ordine più profondo,metodologico, ed è condensato – a mio avviso – nel sottotitolo“Capire e prevenire gli incidenti dei giovani”.

I primi termini sono “capire e prevenire”, ossia l’ideaespressa è che la prevenzione debba passare per la comprensione. Percomprendere da un punto di vista psicodinamico, occorre incontrare chi havissuto l’esperienza dell’incidente, parlare con lui/lei di quellospecifico incidente, verificatosi in quella circostanza della sua vita,possibilmente nella minor distanza temporale possibile dall’accaduto(prima che le difese entrino troppo in campo).

La seconda parte del sottotitolo ha anch’essa il suo significato.L’interesse della comprensione è sugli incidenti (plurale) dei giovani,non sull’incidente stradale/sportivo/domestico/da comportamento sessualenon protetto, come se si potesse studiare un prototipo di comportamento perognuno di questi casi e stabilire delle linee preventive generali (che inveceabbondano nelle prevenzioni ad alto contenuto informativo sui singolicomportamenti a rischio). Nella prospettiva proposta dal volumel’interesse è rivolto a ogni incidente di quella persona, che è giovane esta tentando di attraversare la sua adolescenza, per come ognuno di essi si èpresentato e quasi sempre susseguito l’uno all’altro.

La prevenzione adottata dal gruppo di lavoro coordinato dalla studiosa si èrealizzata infatti secondo un modello di ricerca coerente con questepremesse.

Una prima ricerca pilota ha voluto dare voce ai giovani sul tema, hautilizzato il focus group, quale spazio relazionale privilegiato in cui essipotessero confrontarsi tra loro (quindi col proprio referente preferito perl’età: il gruppo dei pari), accompagnati da un ascolto attento e insiemediscreto del conduttore adulto. Con le parole della studiosa: «Con questametodologia non ci proponevamo di fornire indicazioni o modelli dicomportamento; la speranza era piuttosto che il nostro sforzo di capireattivasse anche nei ragazzi una migliore capacità di porsi delle domande e diinterrogarsi sul senso delle loro azioni […] In questa prospettiva non hatanta importanza l’argomento (si tratti di droga, incidenti o altro) sucui è focalizzato l’intervento; il vero focus della prevenzione è lapersona dell’adolescente e la difficoltà fase-specifica di appropriarsidella sua vita e di riconoscersi come soggetto delle sue azioni».

In linea con molte ricerche nazionali e internazionali, un dato, tra glialtri, importante, emerso dalla ricerca è che la maggior parte degli incidentigiovanili avviene sullo sfondo di un umore triste, simil depressivo (comequello che trapela dalla scultura romana di Icaro); i ragazzi, a proposito deipropri incidenti, hanno parlato pochissimo nel focus group di «piacere»,piuttosto di «vuoto, paura, pericolo, solitudine e follia».

Questa indagine è stata propedeutica a una ricerca-intervento, riferita neldettaglio nel libro, che ha realizzato l’attivazione di uno SportelloGiovani, dove fosse possibile ricevere un ascolto specialistico da parte deiragazzi incidentati che si fossero rivolti al Pronto Soccorso di un ospedaleromano. In questo modo, proprio nei locali del Pronto Soccorso, si è offerta lapossibilità al giovane di riflettere “a caldo”sull’incidente, rivisitandolo, potendolo collegare al proprio momentoesistenziale, trasformando quindi – si potrebbe dire – un“banale incidente” in un episodio dotato di senso e cosìcollocabile nel bagaglio della propria esperienza di vita. Questa formula diintervento che la studiosa definisce “prevenzione attiva”,caratterizzata dal fatto che vede il giovane coinvolto come protagonista, puòlasciare un segno e una trasformazione.

Infine, come viene giustamente sottolineato nel volume, un modello di questogenere non può prescindere dall’integrazione di competenze complementari(nello specifico fra quelle del medico del Pronto Soccorso e quelle dellopsicologo). Si può allora considerare la presenza nel volume della interessante appendice di G.F. Brunelli, “L’altro lato della strada: dalla parte del corpo”, in cui dalla prospettiva del Modello di FisiopatologiaBio-Transazionale, l’autore si propone di «affrontare il senso di queste ferite [causate dall’incidente sul corpo] e delle loro memorie», un primo passo verso un fecondo dialogo operativo fra discipline complementari.