Oggetti d’amore, oggetti di odio: quando la “follia del dominio” si impossessa della vita psichica

E’ difficile, di fronte alle notizie che quotidianamente ci giungono su gravi delitti nei confronti delle donne quali abusi, stupri, assassini, non oscillare drasticamente e con convinzione emotiva in una polarizzazione di genere e attribuire al genere maschile, tout court, la responsabilità del male che le donne patiscono in molte situazioni.  Le conoscenze di cui disponiamo, il laboratorio di concetti e strumenti così indispensabili per comprendere l’umano  è costituito per me dalla psicoanalisi, dalla  mia pratica di psicoanalista.  Posizione psichica da cui discende l’esigenza di provare ad esprimere una “voce differente” che ha a che vedere con una prospettiva specifica di comprensione della vita psichica.  Ogni emozione, credo, abbia in parte a che vedere con  il passato, e rechi le tracce di una storia che è al contempo universalmente umana e peculiare di ogni soggetto. (M. Nussbaum)  Una voce, quella psicoanalitica dunque, attenta alla singolarità di ogni soggetto umano, inscritto in una storia individuale che lo immette,  fin dal concepimento nell’universo degli investimenti profondi di chi lo ha generato. .Nasciamo all’interno di matrici psichiche,  ogni soggetto umano, già prima della nascita è chiamato a occupare un certo posto nella catena del desiderio o del bisogno di un altro, di più altri, a volte:  “ci costituiamo sui loro sogni di desideri non realizzati”.(Kaes 2001)  E’ anche per questo che, come ci ricorda Freud, non siamo mai padroni in casa nostra.

 Interessati  alla storia e alla genealogia di ogni forma di vita psichica, dobbiamo fare lo sforzo di evitare di pensare a uomini e donne in termini di categorie universali,  al contrario, dobbiamo dotarci di un punto di vista in cui concepire  uomini e donne uno ad uno,  a ciascuno dei quali offrire l’opportunità  di essere  conosciuti e riconosciuti  nella propria infinita singolarità. Per tali motivi, penso, che una occasione come quella odierna, possa costituire uno spazio idoneo a riflettere e ricercare su quali siano le condizioni che consentano ad ogni essere umano di incontrare e tollerare l’altro da sé. Così come mi appare sempre più urgente, tentare di comprendere il fallimento nel riconoscimento dell’all’altro da sè i cui esiti come sappiamo possono essere catastrofici. 

Vorrei inoltrarmi nella traccia di ricerca che tenterò di esplorare, attraverso le parole di Diego, un giovane uomo preda in taluni momenti delle tenebre della gelosia e di una rabbia pervasiva, affermava : “ Se io sono in Lei, ( la sua compagna), io e Lei siamo un’unica cosa, Lei allora non può andare via, lasciarmi e portare via con sè la mia vita, i miei unici momenti di vita. In quei momenti ( quando la compagna minaccia di separarsi) io fantastico di farla fuori, farla scomparire, così non perderò la mia vita, anzi me la riprenderò perché non soffrirò più”! Che cosa sentiva di perdere Diego, perdendo il suo oggetto d’amore ? Sentiva di perdere se stesso, una parte di sé persa e confusa nell’altro.  Un’esperienza psichica intollerabile che poteva contrastare nella fantasia folle ( ancora il simbolico prevaleva) di eliminare l’altro e riappropriarsi di un   frammento di vita psichica che non poteva lasciare andare, avrebbe perso nel separarsi da Lei anche se stesso.  

 Siamo consapevoli che per accedere al legame e nascere alla vita psichica il soggetto deve affrontare alcune esigenze di lavoro psichico imposte dall’incontro con l’altro e con gli altri o, in altre parole, “dall’incontro con la soggettività dell’oggetto”. 

La nozione di esigenza di lavoro psichico imposta dalla soggettività dell’oggetto si colloca al centro di una delle possibilità più significative di comprendere l’origine e lo sviluppo dei legami umani.  ( Kaes )  

E’ necessario continuare a  porre interrogativi attraverso i quali provare ad esplorare lo spazio del legame ed in modo più specifico dei legami  d’amore; quella misteriosa e intima forma di vita così potente ed esclusiva, al fine di comprendere sempre più in profondità i meccanismi del dominio, del possesso e della sottomissione nelle relazioni tra  uomini e donne. Le strutture di potere che contraddistinguono le relazioni di genere, omo ed etrosessuali come risposta fondamentale all’intollerabile esperienza di separatezza e incontrollabilità degli oggetti d’amore. Una distorsione patologica del legame d’amore che prende forma  a partire dal crollo dello spazio psichico tra sé e l’altro.   Il fine interscambio ( Winnicott) , l’autentico piacere che ne deriva e che consente al rapporto tra due persone di realizzarsi, viene a mancare. Il dominio e il possesso dell’altro,divengono, l’unica forma di legame vivibile:   una alterazione, deformazione, della vita amorosa che può condurre a trasformare l’originario amore in rabbia e odio tirannico verso chi ci fa soffrire. Il bisogno di rintracciare nell’intera realtà (e cioè negli altri) solo un riflesso del proprio sé, è il seme del  dominio ( J.Benjamin 2006). Più l’altro è dominato, soggiogato, meno è vissuto come soggetto umano dotato di una propria vita psichica.  Tale pericolosa “indipendenza”, deve poter essere controllata  in una spirale di violenza che non può riconoscere  all’altro la funzione di limite e di confine.  La rabbia, il bisogno di vendetta,il bisogno che si ripari a qualcosa di inconcepibile, che si cancelli ciò che è sentito provenire dall’altro come una terribile offesa, dovrà allora essere cancellata con qualunque mezzo. Una coazione incoercibile  che non dà pace a coloro che sentono di aver subito una profonda umiliazione; essere stati esposti allo scacco dell’altro  in grado di annullare l’unica forma di vita psichica che dà ragione al senso stesso della vita.   Cancellare fisicamente” il nemico” è un modo di cancellare in lui il potere sulla nostra vita. ( Su questo tema del dipendere tornerò a breve)Dobbiamo tenere a mente, del resto, che il fallimento del riconoscimento, dello spazio in cui possano esistere sia il sé che l’altro, fa parte della vita, così come fa parte della vita  il costante lavorio di riparazione psichica volto a ricostituire tale spazio. La questione paradossale in ogni legame d’amore  è il bisogno di riconoscimento e al contempo di indipendenza, sperimentiamo che l’altro soggetto è fuori dal nostro controllo onnipotente e contemporaneamente ne abbiamo un bisogno estremo.

In altri termini, dobbiamo continuare a chiederci: qual è il rapporto tra desiderio e riconoscimento, e come avviene che il costituirsi del soggetto comporti una relazione radicale e costitutiva con l’altro?(  Butler1999)  e quali sono le condizioni che ne determinano il fallimento?Dobbiamo immaginare una “lotta” aperta per il riconoscimento tra uomini e donne, e continuare a chiederci come imparare a fare i conti, cioè tollerare,  la differenza.  

Ora, in correlazione ai quesiti sinora posti, non possiamo eluderne un altro, altrettanto doloroso, che rappresenta  l’altra faccia delle logiche di dominio : perché alcune donne non riescono a riconoscere l’oggetto cattivo? (Intendo per oggetto cattivo tutte quelle forme di esperienza psichica in cui il proprio sè può essere minacciato di poter esistere, fin nelle forme più estreme) Perché, alcune donne hanno il bisogno incoercibile di negare l’esistenza “dell’oggetto cattivo” mettendo a repentaglio, in alcuni frangenti, anche la propria vita? Perché queste donne non sono in grado di dotarsi di alcuna funzione protettiva? Sembra talora, tale necessità, più vitale della vita stessa. Negare l’esistenza dell’oggetto cattivo che non può essere riconosciuto come tale, ha  origini remote nella storia del soggetto, storia che vincola alcune donne ad un accecamento psichico. Del resto, se lo sguardo dell’altro non ha “riconosciuto” e non è stato interiorizzato come fonte di protezione, è molto difficile riconoscersi e riconoscere!

 L’amore, nelle sue varie forme, realizzazioni, illusioni e fallimenti, come Freud stesso ha compreso, è una delle principali cause della sofferenza e delle inquietudini umane ed è uno dei motivi che spesso  conduce uomini e donne a  chiedere aiuto ad uno psicoanalista.   

Amare un altro essere umano comporta dei profondi rischi per la mente,  l’odio può esserne un contrappunto inevitabile. A volte, la passione amorosa  può  trasformarsi in un odio intenso e in una sete di vendetta che, nei casi più drammatici, è alla base di crimini violenti.

Perché alcuni uomini fanno esperienza del desiderio e dell’amore per le donne in termini di  una dipendenza sprovveduta, annichilente, umiliante ?Essere “alla mercè” di un femminile che eccita costantemente il desiderio o stimola il bisogno  di dipendenza assoluta, è un fantasma contro il quale la mente maschile che percepisce la donna come dotata di un potere che lo rende passivo e succube,  combatte in molte situazioni. Del resto, siamo consapevoli che  vi è sempre  un elemento di dipendenza insito nel desiderio, fa parte della natura piu profonda della passione e la vulnerabilità a cui si è esposti nel desiderio adulto rivela necessariamente le vicissitudini della propria dipendenza infantile.

E’ la scoperta e l’accettazione dell’alterità dell’altro che definisce i limiti della propria onnipotenza e crea vulnerabilità e questo tipo di esperienza può sempre correre  lungo il crinale dell’umiliazione e della rabbia. E’ per tale motivo che l’oggetto d’amore può trasformarsi repentinamente in oggetto d’ odio. L’aggressività è il punto debole del desiderio.( J Benjamin)  Più intensa è la passione, più grande è la vulnerabilità che sperimentiamo e più potenzialmente distruttiva l’aggressività. La capacità di contenere l’aggressività è una precondizione della capacità d’amare.

La possibilità che l’amore sopravviva, non ha tanto a che vedere con l’evitare l’aggressività, ma di imparare a tenerla insieme all’amore.

Dobbiamo allora chiederci:   a quale prezzo diventiamo quello che siamo? Quali sono le condizioni di crescita che consentono ad un individuo  di esistere come espressione di “ Io sono, io sono vivo, io sono me stesso” ( Winnicott 1974)  e riconoscere l’altro come fonte di arricchimento e di piacere?   In quali condizioni un essere umano sente di poter essere se stesso?  E In quali condizioni siamo sopraffatti dal terrore dell’annichilimento evocato dall’altro che si è trasformato in nemico? 

L’assoggettamento ( la dipendenza, lo stato di prematurazione  che ci rende totalmente dipendenti dagli altri esseri umani )  coinvolge i nostri investimenti affettivi. Siamo disposti a rinunciare ad una parte di noi non riconosciuta, pur di mantenere in vita un legame.   

Riprendendo  l’antico e mai ben chiarito quesito posto da Freud “Che cosa vuole una donna?   potremmo ampliarlo  e chiederci:   che cosa uomini e donne desiderano gli uni dagli altri? 

Incontri con oggetti trasformativi, incontri che diano il senso che la vita val la pena di essere vissuta, e l’amore è un’esperienza profondamente trasformativa se la si può tollerare..Gli oggetti d’amore, di odio, di paura, sempre recano le tracce di oggetti precedenti e le nostre emozioni nei confronti di essi rappresentano nella loro espressione, emozioni rivolte agli oggetti del nostro passato.   

 Se il processo di differenziazione e soggettivazione consiste in un equilibrio costante tra affermazione e riconoscimento, tra padronanza ed espressione del sé e se i membri della relazione sono due soggetti attivi e vitali, la domanda centrale diventa: come posso continuare ad essere me stesso riconoscendo l’altro dal quale non posso separarmi, se non al prezzo di patire un enorme dolore? Detto in altre forme, se il legame non si sviluppa sulla base di esigenze narcisistiche che devono compensare fragilità e vulnerabilità non elaborate,   possiamo allora considerare uno sviluppo di sè  nel legame,  un legame capace di contenere la dialettica del riconoscimento.    

La complessità è necessaria alla vita psichica, ma allora, come è possibile evitare la scissione e il crollo del riconoscimento? La questione del riconoscimento, sostiene Benjamin, sarà sempre la questione inerente una lotta per trionfare e per distruggere, oppure dovrà inaugurarsi una diversa capacità di affrontare l’alterità.

Dobbiamo poter prendere in considerazione una verità più generale, che è quella secondo cui gli individui sono disposti a pagare qualsiasi prezzo, pur di essere, pur di vedersi riconosciuti. 

L’assoggettamento ( la dipendenza, lo stato di prematurazione  che ci rende totalmente dipendenti dagli altri esseri umani )  coinvolge i nostri investimenti affettivi. Siamo disposti a rinunciare ad una parte del nostro sé non riconosciuta, pur di mantenere in vita un legame. Tuttavia, questo «meglio del nulla» può generare una “struttura melanconica” ( Butler 2005) costitutiva della soggettività stessa, la quale oscilla tra una radicale negazione della parte «sacrificata» e l’infelicità e la rabbia  per quello che si è perduto ed invano si cerca di ritrovare in un legame con un oggetto d’amore posseduto totalmente.  Il crocevia fondamentale per la psiche tra specchio e alterità può rivelare le tracce di un eccesso di prossimità tra le generazioni che non consente la costituzione di uno spazio psichico autonomo 

Del resto,è opportuno chiarire, che i quesiti e le riflessioni inerenti le diverse forme di vita psichica e i processi del divenire soggetti  attraversano in modo ubiquitario  ogni funzionamento psichico, inerente sia la posizione femminile che quella maschile;   una posizione materna e una paterna :“femminilizzarsi”, “maternizzarsi”, ovvero occupare una posizione sia femminile che materna, non riguarda specificamente la donna o l’uomo, ma si avvicina piuttosto a quella condizione  in cui ciascun essere umano deve essere capace di avvicinarsi  alle tracce della propria storia di bisogno e di desiderio.   

L’insostenibile complessità dell’esperienza umana

In una intervista a ridosso  del  Congresso Spi ( 2014) sul tema del “divenire soggetti”, riflettevo sulle condizioni di  ’infragilimento  identitario, a cui assitiamo impotenti, attraverso la negazione del rapporto con la propria interiorità e con le forme di dipendenza ad essa associate. Ho definito questo aspetto , un resistere al materno . Dovremmo infatti chiederci  se la cifra del disagio contemporaneo ci riveli che ad “evaporare”, sia il materno e la madre e non  solo quel  Padre  la cui evocazione, così come prevalentemente viene posta,  sembra  contenere ancora  elementi di cultura patriarcale, mai chiaramente esplicitati ed analizzati sino in fondo, nel voler ridurre la donna  a madre,  nell’intento di separare femminilità e maternità.Un maternità   elevata a  esempio di sacrificio di sé solo per cancellare nel materno e nel femminile, quella dimensione di soggetto altro, che deve poter riconoscere ad ogni donna e ad ogni madre di poter essere un soggetto per sé.

 Afferma a tale proposito Winnicott …” l’accettazione della dipendenza assoluta e poi relativa è davvero molto difficile, poiché riguarda l’uomo e la donna reali…..e prosegue:  “Donna è la madre ai primi stadi della vita di tutti gli uomini e di tutte le donne, e della quale non si ha consapevolezza”.  Come si arriva ad avere consapevolezza della madre come oggetto separato e infine come soggetto altro portatore di una propria vita psichica che deve poter essere riconosciuta come tale?  ,La dipendenza fa paura, più che essere vissuta, attraversata, e poi lasciata per godere di una condizione di liberta in presenza dell’altro, viene evitata. Se “ la nostra società ritarda ad effettuare un tipo di riconoscimento di questa dipendenza che è un fatto storico negli stadi iniziali dello sviluppo di ogni individuo, deve esserci un blocco al dispiegarsi tranquillamente di una salute completa, un blocco che viene dalla paura. Se non c’è un autentico riconoscimento della parte svolta dalla madre, allora resta un vago timore della dipendenza..” ( Winnicott 1964 )

La creazione del soggetto nello spazio tra il bambino e la madre comporta diversi tipi di tensione dialettica tra unione e separazione, interno ed esterno .Afferma ancora Winnicott  : “ c’è una battaglia continua nell’individuo che dura tutta la vita, nel differenziare i fatti dalla fantasia, la realtà esterna dalla realtà interna, il mondo dal sogno. Ed è proprio in questa lotta che prende forma la capacità di riconoscimento del primo altro da sè: la madre.

Desidero ricordare che I bambini e le bambine lottano sin dai primi momenti della vita per mantenere una identificazione con entrambi i sessi nel bisogno/desiderio di avere come oggetti di sicurezza, di riconoscimento e di identificazione, sia la madre che il padre.In situazioni armoniche le identificazioni con entrambi i genitori consentono al bambino di assimilare le caratteristiche di ciascuno senza limiti identitari, l’identificazione con l’altro sesso  può coesistere con l’identificazione con il proprio sesso.E’ nelle successive vicende edipiche che pur riconoscendosi nel proprio genere ogni individuo dovrebbe poter esprimere gli aspetti maschili e femminili del sé. Tale integrazione delle identificazioni può essere la premessa che consente di comprendere sia l’altro che il Sé.   

Per concludere, ritornando alle riflessioni iniziali,abbiamo potuto sperimentare nella nostra  pratica  clinica come il disagio della contemporaneità nei legami d’amore sia caratterizzato dall’incontro con pazienti che soffrono una incapacità di amare, di una difficoltà a costruire e mantenere legami intimi e duraturi, con il “ terrore” di ogni dipendenza. Ritengo questa, l’altra faccia speculare della necessità di dominio dell’altro.

E’ la base narcisistica, il sentimento di sé  che fonda la soggettività e di conseguenza   il senso del proprio valore , ad aver subito un duro scacco. L’armonia di un solido senso della propria soggettività  che tiene in equilibrio l’economia psichica dell ‘individuo, sembra aver lasciato il posto ad un senso di costane minaccia traumatica costituito dal timore “dell’altro” e dalle ineludibili richieste della realtà esterna.  Questo delicato equilibrio in costante oscillazione sembra mostrare dei segni di frattura.Le difese narcisistiche del sé  e le relazioni oggettuali narcisistiche ad esse collegate hanno la funzione di preservare la struttura psichica dal dolore mentale non pensabile.In una condizione fallimentare, l’essere umano sperimenta che la propria soggettività è esperibile solo a patto di escludere fino a sopprimere l’altro che costituisce una minaccia,  o che il legame può essere vissuto solo attraverso la resa passiva all’oggetto. Una dipendenza sprovveduta e fuori controllo che rende ogni legame intimo e profondo una oscura minaccia da rifuggire.   Tale organizzazione narcisistica,  non è fondata su un rifiuto  “orgoglioso “ della dipendenza, quanto sulla mancanza di oggetti  affidabili da cui poter dipendere.     Una trasformazione evolutiva che  Green  proponeva con queste parole: “quando gli oggetti sono stati precocemente delusivi, al soggetto non rimane che contare sulle risorse della fiducia – illusoria – che egli pone per compensazione nella propria onnipotenza”( Green 1979 ). Io credo che questa sia la cifra fondamentale del malessere contemporaneo che ho definito “resistere al materno”.  

All’origine della vita, se le cose vanno sufficientemente bene, i bambini hanno fiducia che l’oggetto del loro desiderio possa essere trovato e questo significa che gradualmente la psiche diviene capace di tollerare l’assenza dell’oggetto, potendosi identificare con la madre sia come oggetto sia come soggetto altro da sé.

Possiamo, allora pensare che possa esistere una diversa modalità di amare tra donne e uomini? Di tollerare la dipendenza senza esserne disarticolati?  E’ la sfida che come esseri umani abbiamo davanti per il nostro futuro.

Bibliografia

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