Per una narrazione non convenzionale della violenza alle donne

Buongiorno a tutti e grazie mille per l’invito a quest’evento di così alto livello.

BeFree cooperativa sociale lavora al fianco di donne che esperiscono violenza di genere, massivamente nell’ambito delle relazioni affettive, e di donne migranti che vogliono fuggire dal meccanismo del traffico degli esseri umani a scopo di sfruttamento sessuale.

Alla base del nostro lavoro c’è l’empowerment delle donne che seguiamo, e che non definiamo mai “vittime” di violenza di genere, “vittime” della tratta, perché definirle “vittime” significherebbe negare la resilienza e la forza che le accompagna e le sostiene nei loro percorsi di affrancamento, significherebbe non poter lavorare CON loro e non PER loro alla  costruzione/ri-costruzione  della loro advocacy, significherebbe appiattire la loro identità in una categoria, significherebbe che il nostro approccio non sarebbe “empatico, non giudicante, non ri-vittimizzante”, come deve essere, come è.

Velocemente illustro i luoghi in cui la competenza di Befree si è sistematizzata in una specifica metodologia, continuamente affinata:

Gestiamo SPORTELLODONNA, un importante centro antiviolenza (h 24 per tutti i giorni dell’anno) dentro al Pronto Soccorso dell’Ospedale San Camillo di Roma. Questo servizio, attivo dal 2009, è un servizio “di trincea”:  qui accogliamo donne che si rivolgono alle cure mediche nell’acuzie di una violenza appena subita, di norma dal partner/ex partner, e che dichiarano, generalmente, di essersi procurate ferite o traumi in maniera accidentale. Sono donne che, per la stragrande maggioranza, non sono pronte ad iniziare un percorso di allontanamento dalla situazione che vivono, che non si sono ancora attivate con un’organizzazione di donne contro la violenza alle donne. Da noi arrivano perché gli operatori del triage, che ricevono una formazione continua, assieme a tutto il personale medico, sono in grado di aiutarle ad emergere, e segnalano loro il nostro servizio. In anni di collaborazione, siamo riuscite ad interloquire con l’Azienda Ospedaliera, fino a raggiungere la co-costruzione delle linee guida per la violenza di genere e la violenza sessuale, che vedono SPORTELLODONNA al centro dei percorsi individuali.

In 7 anni di attività, circa 3000 donne hanno ricevuto da SPORTELLODONNA sostegno psicosociale, psicologico, aiuto nella ricerca di case rifugio sui territori, consulenza e assistenza legale. BeFree garantisce gli stessi servizi in molte altre sedi: il Centro Antiviolenza del Comune di Roma, il servizio SOSDONNA di via di Grottaperfetta 610, lo SPAZIODONNA San Basilio, una casa rifugio e un Centro antiviolenza in Abruzzo, una Casa Rifugio e un centro antiviolenza a Campobasso, due Centri Antiviolenza a Napoli, una Casa di Fuga per vittime di tratta in Provincia di Viterbo, ed è in apertura un Centro antiviolenza a Fiumicino. Dal 2008, inoltre, BeFree anima un drop-in Center nel C.P.R. Ponte Galeria, un Centro per l’identificazione e l’espulsione di immigrate “clandestine”, che hanno in realtà i requisiti necessari per essere titolari di percorsi di inserimento sociale qualificato (ex art. 18 dto legvo 286/1998), o di protezione internazionale.

E’ qui che si è formata la nostra competenza, è da qui che derivano alcune considerazioni che condividerò.

Ascoltando i vari interventi, in particolare quelli della Ministra Finocchiaro, che seguo con piacere da parecchio tempo, perché ha veramente segnato la differenza delle donne in politica, mentre ascoltavo le “magnifiche sorti e progressive” che diventano possibili quando l’ottica di genere e la forza della relazione politica tra donne riescono a permeare il discorso pubblico e la politica in genere, alcuni spiacevoli considerazioni andavano affollando la mia mente.

È un fatto: il livello di odio contro le donne, ma anche contro gli immigrati e la popolazione LGBTQ, ha raggiunto “vette” mai prima immaginate. Sicuramente, forte è stata la spinta propulsiva e la visibilità che l’Hate Speach ha raggiunto attraverso i social media, ma questi ultimi, a mio parere, non fanno che “delatentizzare” un pensiero diffuso e condiviso.

Una recentissima ricerca ci dice che i tweet scagliati ogni giorno dai cellulari di tante persone comuni a Milano e a Roma sono circa 4 mila, e l’85% di essi ha come obbiettivo le donne, di cui la cronaca ci racconta le uccisioni con cadenza quotidiana, mentre la pratica delle organizzazioni antiviolenza registra la pervasività e la gravità dei maltrattamenti loro inferti. Esemplare in questo senso tutta la campagna contro la Presidente della Camera Laura Boldrini: al di là della natura delle critiche che le vengono mosse sul piano politico, è del tutto evidente che la cifra con cui il dissenso prende forma è profondamente, abissalmente sessista.

Il sessismo pervade di sé anche il razzismo e la xenofobia; è sufficiente che un episodio di cronaca (sporadico per frequenza) racconti di violenze agite da immigrati su donne italiane perché la narrazione subisca una sterzata netta e definitiva: ignari del fatto che la stragrande parte delle violenze di genere sono agite da uomini italiani, i commentatori, gli editorialisti, i politici, le persone comuni sono immediatamente solidali nello scagliarsi contro “lo straniero”, “il negro”, “l’asilante che così ringrazia il Paese che lo ha ospitato”. In altre parole, il corpo delle donne, deriso, attaccato, sessualizzato, decerebralizzato nella narrazione massmediatica e pubblicitaria, e picchiato, umiliato, violentato e deriso nella vita quotidiana delle brave famiglie, diventa “il corpo della Nazione”: operazione abietta che ha attraversato la Storia, che ha “celebrato” i corpi femminili a simulacro dell’onore dei popoli, reificandoli e strumentalizzandoli – e dunque, violentandoli, sia simbolicamente che concretamente, nella quotidianità, che, a qualsiasi latitudine e in qualsiasi epoca, ha sottomesso le identità sessuate femminili.

La violenza contro le donne ha ben altri parametri, e si manifesta con ben maggiore frequenza nelle coppie di italiani a modo, ai danni di donne che spesso debbono faticare in maniera atroce per uscire da quel caldo nido universalmente celebrato ed osannato che è il nucleo familiare eteronormato. Se si vuole parlare davvero di violenza contro le donne, non bisogna farlo con i termini e le immagini usati dai più, e non a caso cavalcati  dalle destre per cristallizzare il fenomeno in uno scenario di miserie femminili e crudeltà maschili, in un continuo echeggiare di interrogativi retorici – Perché? Come mai? Che si può fare? –, abilmente utilizzati per non andare davvero dentro le cose, e per ridurre il tema ad un’eccezione, un’imprevista epifania della follia maschile e della remissività femminile, come se l’intero contesto nel quale tutte/i siamo immerse/i non fosse tuttora basato sul potere degli uomini e la subalternità delle donne, capisaldi di una costruzione sociale che informa ancora di sé le relazioni all’interno di rapporti di forza solo apparentemente aggiornati. C’è da capire come ribaltare gli squilibri e creare contesti favorevoli non soltanto alle relazioni rispettose ed empatiche ma al pieno sviluppo della potenzialità e del desiderio delle donne e degli uomini, dentro alla relazione di coppia o fuori, e all’interno di ogni scelta, pratica, identità sessuale.

La violenza contro le donne non è una discrasia imprevedibile, non è un deragliamento casuale.

La violenza contro le donne è sistemica.

 

Se la violenza contro le donne accade, come accade, dentro ad un sistema così complesso, colmo di significanti e di significati stratificati in secoli di storia e segnato ab origine da una pretestuosa ed illegittima attribuzione di valori e disvalori che s/bilancia il maschile e il femminile per creare un dis/equilibrio tra i sessi funzionale alla creazione ed al mantenimento di un ordine sociale prestabilito, perché mai la narrazione della violenza contro le donne deve essere tuttora segnata da una così profonda incapacità (o non-volontà) di capirla davvero?

Le donne ammazzate dal partner/ex partner aumentano ogni anno in maniera esponenziale in questo Paese.

Il proliferare di casi di cronaca agghiaccianti quasi mai fa sì che si avvii un ragionamento concreto su quanto la società sia responsabile, in tutte le sue articolazioni, delle violazioni dei diritti umani che avvengono al suo interno, e su quanto sarebbe – è – possibile agire per approcciare correttamente il problema.

Di conseguenza, una questione così seria e grave viene ridotta ad un concerto stonato di solipsismi dentro al quale chiunque può prendere parola per veicolare il proprio immaginario sul sociale.

 “Nella relazione caratterizzata da prepotenza, gelosia, maltrattamento, abuso e violenza da parte del partner, le vessazioni aumentano nel tempo in maniera esponenziale. Ciò non basta però a far sì che la donna interrompa la relazione – soprattutto in presenza di convivenza e di figli. Per tanti motivi, ma soprattutto perché le hanno detto che l’amore è quanto di più importante esista nella sua vita, che l’amore va conquistato, tenuto vivo, va irrorato, annaffiato come un fiore. Anche quando è una pianta mostruosa, una pianta carnivora che mangia trita uccide…E quella stessa cultura le dice che lui è… così È intemperante è violento, ma è anche smarrito, sta male, ha perso il senso di sé, è vittima anche lui della sua stessa violenza. E chi può salvarlo dal suo proprio malessere se non lei, la “sua” donna? Salvifica accogliente madre amante amica, con quell’attitudine orrenda verso l’olocausto di sé che è comune a tutte le donne.”[1]

La narrazione socialmente diffusa della violenza contro le donne mostra le donne come stolide persone che per qualche strano loro motivo, sicuramente per qualche loro forte carenza, hanno deciso di sposarsi o avere una relazione con questi uomini cattivi, che ce l’hanno scritto in fronte che sono uomini cattivi….

La realtà è ben diversa.

La violenza s’introduce nella coppia grazie a continue interesezioni di comportamenti agiti dagli uomini e subiti dalle donne, con comportamenti e agiti che hanno a che fare con i concetti fondanti del maschile e del femminile, creatisi nel corso di millenni, introiettati da tutte e tutti, e rivificati e modernizzati nei tempi attuali.

L’humus di tutto ciò risiede in un contesto culturale dato, in cui brulicano molti altri problemi.

Ad esempio, e se ne fa un gran parlare ultimamente, il tema delle molestie sessuali.

Un tema che va assunto mettendo al centro un criterio di complessità.

Esiste un sistema di indottrinamento delle bambine, fin dalla più tenera età, e non è raro che le mamme diventino “sentinelle del  patriarcato” , imponendo una condotta in cui docilità e carinerie sono strumenti indispensabili per essere accettate dal mondo.. Siamo tutte e  tutti dentro a questa cultura, vecchia, trita, che non porta a niente se a non al dolore, al dispiacere e alla violenza.

E così, in una relazione dispari, un invito a cena, un complimento, assumono un potenzialità violenta, ma sono anche intesi come obliquo riconoscimento, gratificazione, come affermazione del potere seduttivo della donna al quale la donna è esercitata fin da bambina.

Così, allo stesso modo, nella relazione violnta capita che le aggressioni vengano subite e giustificate quando hanno a che vedere con la gelosia, con il senso del possesso, con il diritto legittimo di controllare la vita altrui.

Questo modo di raggiungere la sicurezza di essere accolte e amate attraverso la sottomissione al potere maschile è qualcosa che rende complice tutta la società.

E ognuno di noi è complice, perché non stiamo lottando abbastanza contro questo sistema.

La nostra omissione è colpevole.

Se la mia vicina di casa si rende conto che, avendo sentito gli urli delle aggressioni provenire dal suo appartamento,  la guardo con pietà, o con disapprovazione, o con disprezzo, certamente non cercherà di allontanarsi da quella situazione,  non lo denuncerà, perché sa che non sarà creduta.

Alle donne non si crede mai.

Perché normalmente l’uomo violento, nella maggior parte dei casi, appare affabile, integrato, simpatico. E allora chi può credere che, all’interno della sua famiglia, possa agire violenze tanto acute? E, nel caso la cosa sia indubitabile, allora saranno stati i comportamenti della sua compagna a rendere inevitabile il ricorso alla violenza. Una violenza che viene accettata: non dimentichiamo che lo jus corrigendi, ovvero la liceità di comportamenti correttivi anche violenti su moglie e figli da parte del pater familiae, è stato formalmente e implicitamente abrogato dal nostro Codice solo nel 1975, con la riforma del diritto di famiglia.

Quello che c’è da fare è rifondare il concetto di equilibri tra diritti delle persone, modificare lo schema di autoidentificazione maschile , e lo schema di autoidentificazione femminile, attraverso una didattica, un lon life learning che appare improcrastinabile.

Siamo andate a fare progetti nelle carceri maschili, con i detenuti delle sezioni dedicate ai sex-offenders, uomini per lo più italiani e di livello sociale e culturale medio-alto, proprio per  capire l’autocostruzione dell’identità sessuata nel procedimento di identificazione maschile che hanno vissuto, e dove stavano i nodi, e dove si poteva costruire un discorso più ampio.

Ma il lavoro è lungo ed è solo agli inizi.

Questo chiedo: vi prego di non pensare neanche per un attimo che le donne che esperiscono violenze siano donne stupide o incapaci.

Queste donne vanno rispettate, vi chiedo di non avere preconcetti verso queste donne, ma di creare tutti insieme  un sistema accogliente e competente.

Bisogna fare questo: mettere gocce d’acqua  nell’oceano, con la consapevolezza che a  furia di mettere queste gocce l’acqua cambierà.

Grazie.

[1]           O. Gargano, La sindrome del sultano – le prostitute nell’Impero degli uomini, Ed. Provincia di Roma Roma 2003