ChagalFiaba

Presentazione, La fiaba e la sua funzione organizzatrice del pensiero

Ogni articolo di questo numero di Funzione Gamma riguarda a suo modo le affinità tra le fiabe – o narrazioni con le stesse caratteristiche delle fiabe popolari – e il processo terapeutico sia individuale che di gruppo. Alcuni di essi mettono a fuoco in particolare la funzione delle fiabe nel processo terapeutico.

Il filo rosso che serpeggia tra tutti questi articoli riguarda l’uso della fiaba come “oggetto mediatore”, sia in psicoterapia che nelle relazioni educative: la fiaba è portatrice di contenuti profondi, e permette in una relazione terapeutica o educativa di potersi avvicinare ad essi in modi non diretti. Lafforgue, citando Kaës, la definisce un “prêt à porter per il pensiero, sottolineando la sua “funzione organizzatrice”. Questa funzione permette di dare una forma ai fantasmi che circolano nelle relazioni umane, di uscire dal caos dei pensieri selvaggi. Nella fiaba le emozioni non sono espresse direttamente, ma evocate da personaggi fortemente caratterizzati nei quali sono, per così dire, incarnate. Legato a questo c’è il tema dell’”area transizionale” che si crea intorno alla fiaba o ai suoi precursori – come il sogno condiviso, o un qualunque “oggetto transizionale” che compare nella relazione – permettendo di sostituire il pensiero all’agire e di avviare i processi simbolici (S. Guida, R. Gentile, D. Amir).

Alcuni category mettono a fuoco questi aspetti della mente in esperienze cliniche individuali (S. Guida, D. Amir), o di gruppo (R.Raufman, R.Zoran, R. Gentile); altri (Lafforgue, Bruno), nella relazione educativa, intesa come situazione orientata al potenziamento e alla difesa della salute mentale.

Gli category più citati, comuni a quasi tutti gli scritti, sono W. Bion e D.Winnicott, oltre ad altri category più specifici.

R.Raufman e N.Peri si soffermano soprattutto, attingendo al pensiero di Jung, a riflettere sulle analogie e i legami tra il sogno e il folklore, la complementarietà tra l’uno e l’altro, la possibilità di una relazione interdisciplinare tra psicoanalisi e antropologia. Ritroviamo questa relazione, in un’altra modalità, nell’ultimo articolo (A. M. Di Stefano e S. Messeca) “Arcaici canti…”

1)Susanna Guida: (“Sognare l’impensabile, narrare il non-ricordo…”) Descrive i processi imponderabili che danno luogo alla nascita dal caos di nuovi legami, o alla ricostruzione di legami spezzati, (Bion) attivando la capacità di narrare, il senso del tempo e della storicità, la ripresa dello sviluppo. Il suo lavoro, ricco di osservazioni pregnanti, permette di comprendere da vicino, come con una lente di ingrandimento, i processi emotivi e cognitivi che precorrono la capacità di sognare e in seguito l’uso della fiaba, in quanto appartenente alla tradizione condivisa.

2)Dana Amir: Nel suo articolo “Cercare e nascondersi: lo spazio potenziale di Winnicott e la casa di Raspberry Juice”, Dana Amir presenta un’interpretazione psicoanalitica a un racconto per bambini che tratta del problema del “chiudersi e dell’ aprirsi”. L’autrice descrive la modalità in cui questa fiaba per bambini parla del bisogno di essere scoperti, in contrasto con la paura di essere trovati, all’interno dello “spazio potenziale”, descritto da Winnicott, in cui c’è la possibilità di andare e venire tra il me e il non-me, tra immaginazione e realtà, tra il bisogno di partecipare e quello di restare singolo individuo.

Questi due primi articoli mettono in guardia il terapeuta dal rischio di “dare un nome” troppo presto ai sentimenti del paziente, con arroganza, dimenticando la distanza tra la “conoscenza posseduta dagli occhi e la sapienza conquistata dal cuore”. La fiaba può appunto svolgere questa funzione di lasciare ai pazienti il tempo di appropriarsi di contenuti “difficili da digerire”, che bisogna “scoprire” dietro il loro travestimento narrativo.

3)L’articolo di Ravit Raufman “Errando nella foresta oscura, sogni e fiabe in un gruppo di lavoro” descrive il contributo delle fiabe al dialogo che si delinea tra diversi aspetti della personalità, e ai processi terapeutici all’interno di un gruppo di lavoro. L’esempio offerto nello scritto riguarda la fiaba di Hansel e Gretel, e mostra il modo in cui le fiabe possono influenzare i processi interpretativi.

Le fiabe e i sogni, dal suo punto di vista possono svolgere un dialogo in cui ciascuno dei due elementi è complementare all’altro, analogamente al modo in cui “differenti voci”, nel gruppo descrivono i conflitti e le dinamiche essenziali con cui il gruppo stesso è impegnato nelle fasi che attraversa.

4)L’articolo “Ritorno a Cenerentola: le fiabe nel dialogo della Biblioterapia”, scritto da Rachel Zoran, esamina il ruolo che la fiaba di Cenerentola assume, come di una “terza voce”, in un lavoro terapeutico di “Biblioterapia” con un gruppo di giovani. La lettura della fiaba  riattualizza nei differenti lettori i temi sottostanti alla trama, che gettano una luce su ogni lettore in quanto individuo. Questo doppio effetto crea un dialogo fecondo tra la “parte” infantile e quella adulta dell’individuo attraverso il tema specifico scelto dalla fiaba.

La funzione organizzatrice del pensiero in questo lavoro ha permesso ad alcuni pazienti di elaborare, e forse di “correggere” delle primissime esperienze infantili, illuminandole dal punto di vista adulto, senza privarle della vitalità e dell’autenticità del primo incontro con la fiaba.

5)Rossana Gentile, nel suo articolo “La fiaba come strumento terapeutico: un’esperienza con bambini ciechi pluriminorati” attingendo al pensiero di Gaddini (le fantasie nel corpo) descrive l’evoluzione del suo laboratorio con bambini ciechi pluriminorati, nel quale si delineano le prime integrazioni tra “corpo e mente”, sensazioni ed emozioni, che sembrano promuovere attività simboliche. La scelta dei 3 porcellini, fiaba presa dalla tradizione condivisa dai bambini, è in relazione alle difficoltà del gruppo riguardo ai confini del Sé e alla differenza tra interno ed esterno. C’è molta attenzione alle variazioni di ascolto dei bambini, ma anche del gruppo di operatori, che cominciano a vedere i loro pazienti come persone umane dotate di una mente pensante, uscendo dal circolo senza tempo dello “sporco – pulito – sporco” che disumanizza le relazioni.

La fiaba ha una funzione anche nell’elaborazione di un lutto nel gruppo degli operatori, molto traumatizzati dalla morte di un paziente, “come se il lupo avesse fatto irruzione tra loro “.

Nel suo lavoro, come in quello di S. Guida, di Dana Amir e in quello di Di Stefano e Messeca, è molto sottolineato il tema della voce, che ai bambini più piccoli o più malati inizialmente trasmette non tanto i contenuti, quanto la musicalità della narrazione.

Un altro gruppo di articoli, come abbiamo accennato, parla della funzione organizzatrice della fiaba nelle relazioni educative. Il lavoro di Lafforgue “De l’utilité du conte populair en Pedagogie” parla dell’apprendimento della lettura, facilitato  dalla fiaba che, stimolando la curiosità, aprirebbe nuovi spazi alla mente infantile.

6)Lafforgue sembra lanciare un appello alla protezione del libro, come oggetto minacciato di estinzione dall’eccesso di immagini dello schermo più facilmente fruibili, che però possono ingenerare passività. La fiaba, al contrario di quelle, permette per così dire “un’andata e un ritorno”, un’attività mentale nel bambino, che ha bisogno della sua funzione organizzatrice per apprendere sane distinzioni. Pur parlando di temi molto semplici e quotidiani l’articolo di Lafforgue è disseminato di preziose originali osservazioni.

7)Daniela Bruno in “La fiaba come strumento di osservazione: lo psicologo entra in classe” sviluppa un discorso simile al precedente, intorno all’uso della fiaba a scuola, che permette ai giovani allievi, e anche ai loro insegnanti, di parlare delle loro inquietudini. Ella sottolinea come una dipendenza eccessiva dallo schermo nei bambini tende a sostituire illusoriamente oggetti inanimati alle relazioni umane. Se il desiderio di conoscenza, ella dice, è compromesso  da paure che non possono essere contenute, prevale l’imitazione dei frammenti dei saperi altrui.

8)In linea con il tentativo di Ravit Raufman di descrivere l’affinità tra i prodotti del folklore e i sogni, l’articolo di Nethaniel Peri, “La relazione tra Incesto e Hubris nei sogni, nei miti e nelle fiabe”, riguarda gli archetipi frequentemente definiti come i primi tabù nelle varie culture – la Hubris e l’Incesto – da un punto di vista junghiano. Esaminando i modi in cui ciascuno di questi elementi appare nei sogni, nei miti e nelle fiabe popolari, l’autore cerca di mettere a fuoco la relazione tra questi due archetipi.

9)L’articolo di A. Di Stefano e S. Messeca, “Arcaici canti per custodire e trasmettere il mistero della nascita, dell’amore, del tempo”, scritto da un’antropologa e da una psicoterapeuta infantile, come l’articolo di S. Guida, ma in un’altra forma, descrive i precursori delle fiabe: ninne nanne e filastrocche, trasmesse oralmente di generazione in generazione. Esse uniscono elementi sonori e ritmici, adatti a calmare e contenere, insieme a parole, gravide a volte di contenuti intensi, nel trasmettere i pensieri elaborati dalla tradizione, per inserire il piccolo in una cultura condivisa. La funzione organizzatrice si svolge intorno a temi esistenziali come la separazione della nascita, i pericoli per la sopravvivenza, ma anche alla scoperta del mondo e della vita. Queste cantilene mettono in forma il pensiero, lasciandolo ancora avvolto da un involucro sonoro.

Sembra che i diversi articoli nel numero della rivista compongono un corpus ricco e articolato di interpretazioni e di ricerca, grazie alla “funzione organizzatrice del pensiero” insita nella struttura stessa della fiaba. Essa contribuisce alla nascita di relazioni impreviste tra esperienze cliniche e riflessioni teoretiche, fornendo uno speciale contributo al dialogo interdisciplinare tra il lavoro di gruppo, i sogni e differenti generi di fiabe.