Psichiatria Culturale, Igiene Mentale, e l’influenza del fattore religioso. Intervista a Goffredo Bartocci
Domanda. Dr. Bartocci, nel corso della sua carriera di psichiatra e psicoterapeuta, si è occupato del rapporto tra psicopatologia, cultura, e dimensione spirituale.
Quando, e come è avvenuto il suo incontro con tale ambito e prospettiva della psichiatria?
Goffredo Bartocci. Vinsi una borsa di studio nel 72’ per un’esperienza di un anno in Sudafrica presso il Groote Schuur Hospital di Città del Capo che si rivelò molto importante ed interessante da un punto di vista clinico. Presi atto del fatto che la cultura avesse un ruolo incisivo sulla modificazione dell’espressione psicopatologica: il mondo “magico” dei Bantu (non dimentichiamoci del lavoro di Ernesto De Martino!) influenzava le loro espressioni “psicopatologiche”, caratterizzandole come profondamente diverse dalle nostre. La loro concezione animistica del mondo era strettamente correlata a un prevalere di reazioni psicogene acute di rapida risoluzione rispetto a tipi di patologie croniche che avevo visto in Roma.
Nel Manuale di Psichiatria e Psicoterapia di Nicola Lalli, ho trattato diffusamente questo fenomeno.
Domanda. Lévy Bruhl (1922), parlava di mentalità prelogica dei primitivi e della loro mancata ricerca delle cause seconde dei fenomeni.
Goffredo Bartocci. Prelogia.. per noi psichiatri culturali questo termine sembra connotare una condizione di subcultura: fa riferimento piuttosto al concetto di “selvaggio”, quando invece le caratteristiche esistenziali e cognitive dei popoli tradizionali non sono un minus rispetto la potenza razionale espressa dalle culture Occidentali . Per esempio in questi popoli tradizionali non esiste un dio unico: non per questo la loro lettura del mondo, articolata a concezioni cosmogoniche caratterizzate da un evoluzionismo sincretico con la natura materiale, pecca di un orientamento di valori utile a sviluppare una spiritualità raffinatissima.
Domanda. La Queen Mary University di Londra ha ospitato nello scorso Marzo, il III Congresso Mondiale della World Association of Cultural Psychiatry, di cui Lei è stato presidente.
Qual è oggi l’attualità della Psichiatria Culturale, nell’epoca storica dell’eclissi dei riferimenti simbolici, della deriva fanatico-ideologica, e del tecnicismo elevato a potenza?
Goffredo Bartocci. Per rispondere a questa domanda è necessario declinare la significativa differenza che c’è tra psichiatria transculturale e psichiatria culturale. In Italia con il termine “transculturale”, spesso accade che venga intesa l’“assistenza degli immigrati”: in altri Paesi a carattere polietnico, quali per esempio l’Inghilterra, la composizione multiculturale della società ha permesso da tempo di cogliere l’influenza che le diverse culture hanno sulle espressioni psichiche (sane e psicopatologiche), orientando le ricerche ad avviare studi soprattutto proprio sulle popolazioni bianche con la stessa ottica comparativa usata per le popolazioni “esotiche”. La psichiatria culturale presta un’attenzione particolare all’evitamento del riduzionismo epistemologico e all’interrogativo rispetto al “cosa succeda in Occidente”, un’area culturale che mostra evidenti contraddizioni nelle proposizioni valoriali su cui si rispecchiano le corrispettive produzioni abnormi psichiche.
Guardiamo cosa si sta verificando in Nord America: una diffusione epidemica di personalità multiple e di stati dissociativi, per cui è sempre più problematica la questione della diagnosi di stati che incominciano ad essere considerati una norma. Seppur possa apparire macabro, non posso fare a meno di segnalare il fenomeno dei serial killers come una “specialità” della nostra cultura, che consente una lettura della dissociazione come un derivato fisiologico di un “Io” individuale/duale, resettato “contro” gli altri Io. Un’impostazione fondamentalmente diversa rispetto all’“Io sincretico” e sociale dei cosiddetti primitivi.
Mi piace l’espressione che Lei mi suggerisce- <<fanatico ideologico>>-, per connotare la questione integralista- religiosa, uno degli ambiti di ricerca di cui mi occupo. Frequentemente il suicide bomber islamico viene associato al kamikaze: è stato osservato che il vissuto dei primi è di estasi, di devozione ad una missione trascendente, a differenza dei secondi chiaramente costretti a compiere un atto considerato eroico ovvero rispettoso di tradizioni locali e non un’esemplare devozione religiosa.
L’attualità della psichiatria culturale oggi, è proprio nella possibilità che introduce di intervenire rispetto al nesso bio/psiche senza scindere le due aree dimensionali: la plasmazione neurale, plasma le risposte psichiche che diventeranno appunto, norma socio-culturale.
Domanda. Nel 1979, Prince fu il primo a sottolineare l’importanza dell’esperienza religiosa per la psichiatria culturale. In che modo l’emergenza con cui le neuroscienze, negli ultimi quindici anni si sono imposte alla ricerca, supporta la lettura del costrutto “cultura” come “categoria biologica”?
Goffredo Bartocci. Prince si è occupato molto di studi religiosi. Edelman ha interrogato la comunità psichiatrica sul perché ci si interessi ancora molto poco agli stati di coscienza modificati dall’influenza culturale. Ripeto: nei Paesi polietnici quali l’America, sono sempre più frequenti gli studi sulle modificazioni biopsicosociali indotte da specifici fattori culturali. In Italia invece quando si parla di psichiatria culturale spesso la si confonde con quella sociale, quando invero ciò di cui tratta la psichiatria culturale è la psicopatologia generale comparata e non solo la gestione dei pazienti nel territorio.
Domanda. L’approccio transculturale nei servizi psichiatrici, delinea il rapporto e le differenze strutturali tra misticismo, stati alterati di coscienza, e psicosi. Noto è il contributo degli psichiatri culturali alla V revisione del manuale diagnostico DSM: cosa sente di poter dire in merito agli effetti che i cambiamenti culturali hanno su un costrutto affatto dato, quale quello di “salute mentale”?
Esiste davvero la “salute mentale”?
Goffredo Bartocci. Domanda difficile! Il DSM IV, come per la sua recente V revisione, effettivamente prende in considerazione la prospettiva culturale. Tuttavia tale nomenclatura rischia di proporre una fotografia dei sintomi che sacrifica la dimensione interpretativa che li riguarda: non esiste un prodotto psichico fotografabile che vada bene per tutti.
Noi psichiatri culturali ovviamente ci interessiamo al nesso tra cultura e integrazione sociale, interrogandoci sul concetto di “sanità”, “norma”, e “salute mentale”, ritenendo che quest’ultima debba tener conto di tre dimensioni: quella ideale, quella culturale, e quella naturale-biologica. Può sembrare provocatorio per la cultura Occidentale ma molti studi oramai testimoniano il rapporto tra cultura occidentale e induzione dell’elemento dissociativo come norma di salute mentale.
Domanda. Dal <<sentimento oceanico>> di Freud (1929), alle più recenti indagini della psichiatria culturale, qual è l’apporto della ricerca sui gruppi, per la clinica, i suoi sviluppi, e l’evoluzione del processo terapeutico?
Goffredo Bartocci. Di gruppi purtroppo non sono esperto. Mi risulta che in Francia esista un’importante tradizione che ha lavorato con i gruppi, ricorrendo alla figura del mediatore culturale.
In America lo stretto rapporto tra psichiatria e antropologia culturale ha permesso di promuovere un approccio “narrativo” sia individuale che di gruppo, che rimane fedele a prassi metodologiche che rispettano un profilo terapeutico rigoroso.
Domanda. Dr. Bartocci, a conclusione della nostra intervista tiene a ribadire qualcosa in particolare?
Goffredo Bartocci. La psichiatria culturale torna a parlare di ipotesi eziologiche della schizofrenia, regina delle malattie psichiatriche, insistendo sulla concausa culturale nel piegare la cosiddetta personalità premorbosa verso la strutturazione di sindromi conclamate.
Nella prossima edizione dell’Enciclopedie medico chirurgicale francese, verrà pubblicato un mio Capitolo che tratta proprio della strana ginnastica mentale a cui è costretto il cervello delle popolazioni tecnicizzate. Una ginnastica caratterizzata dalla necessità di ricorrere continuamente all’uso di un doppio registro relazionale necessario a orientarsi nei confronti di un mondo culturale duale, intriso di messaggi taumaturgici a carattere extramondano che mal si conciliano con il rigore scientifico richiesto da altre prestazioni medico- pragmatiche.
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GOFFREDO BARTOCCI: psichiatra e psicoterapeuta, past president della World Cultural Psychiatric Association, e direttore della WCPRR (World Cultural Psychiatry Research Review), ha condotto ricerche per il Ministero degli Affari Esteri d’Italia e dell’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità), presso le popolazioni Bantu del Sud Africa e presso gli aborigeni del Deserto Centrale Australiano.
G. Bartocci è stato fondatore insieme a L. Frighi dell’Istituto Italiano d’Igiene Mentale, e presidente della sezione di Psichiatria Transculturale della Società Mondiale di Psichiatria.
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Bibliografia
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Freud, S. (1929). Il disagio della civiltà. In Opere vol X. Torino: Boringhieri, 1978.
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