“Quando mi drogavo stavo meglio”. Considerazioni sul corpo, dall’abuso alla comunità terapeutica
Abstract
L’articolo esplora l’anatomia della dimensione corporea della tossicodipendenza, considerando come questa si modifica di pari passo con le trasformazioni della relazione che l’individuo intrattiene con la sostanza di abuso e con il contesto. La parola anatomia, derivata dal greco ἀνατέμνω che significa tagliare, si avvicina a rappresentare l’intento del testo: sezionare la tossicodipendenza nel suo farsi carne. E’ questa un’esperienza fortemente orientata dalle sensazioni corporee che per la loro forza richiedono, o meglio, impongono, un’attenzione costante agli aspetti somatici. Accade questo nel corpo abusante, accade questo nel corpo astinente.
Nella tossicodipendenza, dove l’agito diventa lo strumento di bilanciamento dei vissuti negativi in un panorama di disregolazione affettiva (Porcelli, 2004), la possibilità di stringere un’alleanza con il corpo non può che essere considerata essenziale, poiché il corpo sa, ci conosce (De Toffoli, 2001) e diviene la tela sulla quale trovano espressione elementi che non “hanno parole”, che nel lavoro terapeutico possono recuperare una loro dimensione di pensabilità.
La comunità terapeutica diventa lo spazio in cui operare questa attribuzione di significato, traducendo aspetti corporei che il paziente può scarsamente considerare o addirittura ignorare, in vere e proprie narrazioni circa il suo vissuto.