“Strade del narrare – La costruzione dell’identità”
a cura di Daniela Iannotta e Giuseppe Martini
Idea fondante il libro è il confronto tra la teoresi filosofica, le pratiche terapeutiche territoriali (psicoterapeutiche e psicanalitiche da cui esse discendono) e i saperi pedagogici e umanistici che hanno contribuito a valorizzare la valenza etica e trasformativa della narrazione.
Si potrebbe dire che, prima ancora che importante, questo è un libro coraggioso, poiché affronta senza esitazioni un vortice di problemi che coinvolge di fatto tutta la riflessione contemporanea sul significato, le funzione, la riconoscibilità della diade soggetto – oggetto, cioè, in altre parole, il nodo, oggi centrale, del pensiero e della comunicazione umana. Per di più il libro appare come un testo miscellaneo, dove convergono contributi non solo numerosi ma, almeno a una prima lettura, decisamente e consapevolmente disomogenei.
La prima impressione appare tuttavia radicalmente modificarsi se si guarda alla densa introduzione dei due curatori, che ristabilisce in una complessa sintesi unitaria la coerenza e la congruenza dei diversi contributi, alla luce di una visione della “narrazione” come un diverso sistema di connettersi al reale, rispetto al metodo “scientifico” che aveva rappresentato la condizione indispensabile della conoscenza per la cultura di tutto il XIX e di buona parte del XX secolo.
Nell’introduzione, dunque, tutti i contributi sono raccolti e giustificati nell’ottica, appunto, di una nuova modalità del conoscere che si oppone al conoscere scientifico in quanto fondata sull’”identità” prodotta dal “narrare”, intesa come immediata e non “metodica” aderenza alle tensioni relazionali che si producono all’interno delle società umane, che rispondono insieme a esigenze di ordine “estetico” (nel senso di “rendersi conto”, di “cogliere il senso”) e di ordine lenitivo- curativo (nel senso dell’”accogliere”, del “testimoniare”, del condividere paure, speranze, “pensieri di sogno”).
Su questa base teoretica si fonda, dunque, la sequenza delle diverse “narrazioni” che testimoniano dei diversi modi di conoscere attraverso il narrare, che potremmo anche chiamare i diversi e variopinti punti di vista sui quali può costruirsi un “narrare sul narrare”
Il libro si divide in 4 sezioni che affrontano il complesso rapporto tra identità e narrazione dai diversi punti di vista delle varie discipline teoriche:
Identità e metafora: l’identità chiusa delle discipline di fine ottocento ancorate alla accezione del mondo come sinonimo di scientificità delle procedure conoscitive versus la necessità delle stesse di rispondere a domande non riducibili al dato scientifico, la negazione da parte delle discipline della presenza di domande a cui è impossibile rispondere con il solo dato scientifico per ancorarsi ad un’identità confortevole e rassicurante e l’abbandono di altre discipline della ricerca di scientificità riconoscendo un’identità che evolve in uno spazio-tempo non negabile. Il passaggio dal concetto di verità extrametodica di Gademer che evidenzia l’impoverimento che appartiene all’ambito del conoscere là dove si fa della verità una forma oggettivante avulsa dall’esperienza che produce e nutre quella stessa verità passando per il concetto di “identità narrativa” di Ricoeur dove l’identità non è esauribile in un certificato anagrafico o in una mappa genetica, dato fisso e immobile nello spazio-tempo, ma che tenga conto dell’evolversi, modificarsi, trasformarsi. E’ qui che avviene l’incontro con le discipline del campo psicologico, la psicanalisi in particolare, dove la narrazione assume attraverso il ricordare e rielaborare uno dei momenti costitutivi. Incontro che si verifica anche con altre discipline come l’arte, la medicina, la psichiatria che vedono l’incontro con l’altro in una dimensione narrativa.
Narrazione e (ri)costruzione dell’identità: nell’incontro tra la filosofia e le discipline che operano nell’ambito della salute mentale viene evidenziato il tentativo di Ricoeur di evitare che la filosofia si richiuda narcisisticamente in sé ma che dialoghi con altri saperi per mantenersi viva. A tal proposito viene evidenziato il concetto di Ricoeur di “home capable” che prospetta una concezione dell’uomo disposta tra il polo della potenza o del potere e quello dell’atto e agire che letto in chiave dinamica evidenzia: il poter dire, il poter fare, il poter raccontare e raccontarsi ossia la possibilità di espressione e comprensione, agire, riconoscimento, configurazione e riconfigurazione narrativa dell’identità, imputabilità/responsabilità. Tale lettura si incontra con l’idea della salute mentale non come una questione di normalità e normalizzazione ma di nutrimento e liberazione della potenza espressiva interiore. In ciò inevitabilmente identità e narrazione entrano in rapporto là dove “le strade del narrare offrono vettori direzionali di senso, che alle prospettive parziali e limitate del nostro personale stare nel mondo danno l’opportunità di un confronto e di uno scambio con le prospettive parziali e limitate dell’altrui essere nel mondo, aiutando entrambi a “raccontare altrimenti””(D. Iannotta, G. Martini, pag.19). Narrazione come bisogno dell’uomo in cui è possibile far dialogare le emozioni e il Sé che le deve vivere, pensare, ordinare. Narrazione fortemente vincolata alla dimensione emozionale del nostro esserci e del nostro essere con l’altro nella relazione. L’emozione che crea la narrazione e la narrazione che ricrea l’emozione. Qui si inserisce il concetto di identità narrativa di Ricoeur in cui l’identità personale attraverso il racconto si costituisce come “identità narrativa” permettendo l’evolversi e il dispiegarsi delle trasformazioni del soggetto in una ricostruzione (memoria) e costruzione, apertura al nuovo.
I luoghi della narrazione: In questo scenario il libro ci offre la possibilità di “entrare” e “scoprire” all’interno dei Dipartimenti di Salute Mentale “gruppi narrativi”, ossia la presenza di uno spazio condiviso dagli utenti che offre loro la possibilità di raccontarsi. Gruppi di differenti orientamenti teorici a valenza terapeutica che spaziano da un versante più prettamente psicoterapeutico ad uno risocializzante ma comunque volti implicitamente a favorire un processo di costruzione (e ricostruzione) di storie identitarie là dove nell’incontro con il paziente psichiatrico colpisce sempre la difficoltà a ricostruire la propria storia e domina la sensazione di essere avvolti in una sorta di sospensione spazio – temporale nonché di immobilità, immobilità che rischia spesso di contagiare gli operatori dei servizi. Narrare se stessi all’interno dello spazio gruppale permette al soggetto di operare una mediazione tra il proprio mondo interiore e il mondo esterno affidando alle parole la propria storia in una trama che ne rende intellegibile il senso allo stesso soggetto contribuendo a ricomporre la propria identità. In ciò il gruppo diviene la possibilità dell’incontrarsi, sostenersi, conoscersi e riconoscersi aprendosi a nuove possibilità narrative.
I tempi della narrazione: “i tempi di cui l’esperienza si compone acquistano significati e valenze emozionali strettamente legate allo spazio e al contesto gruppale”. Gianluigi Di Cesare nel suo intervento pone particolare attenzione al fattore “tempo” all’interno del lavoro terapeutico riabilitativo in cui il tempo immobile e sempre uguale che rischia spesso di percepirsi all’interno dei servizi di salute mentale è spezzato dalla possibilità di rottura della separazione tra il dentro e il fuori, tra il mondo della follia e quello della normalità. In ciò l’auto narrazione esperienziale consente ai pazienti di liberarsi dall’immobilità del racconto psicotico e riscoprirsi “costruttori di mondi, piuttosto che abitatori di ambienti”.
Si apre nell’ultimo intervento del libro una finestra sulla società attuale ancorata a dimensioni individualistiche di “solitudine, anonimato e incertezza” e il fenomeno dell’immigrazione in cui la narrazione e la costituzione dell’identità sono ancorate alle variabili di cui sono costellate le nostre società complesse.
Di fronte ad una problematica così varia e complessa si può certamente dissentire, da molti punti di vista, su molte prese di posizione o livelli di approfondimento. Ma lo stesso provocare riflessioni critiche appare testimoniare che il lavoro non è, come poteva apparire all’inizio, soltanto “coraggioso”, bensì che è effettivamente un contributo importante ed utile, se non altro perché costringe a riflettere e a prendere posizione su temi che non possono essere elusi o rifiutati senza perdere di vista i fondamenti stessi del nostro poter “narrare” di noi stessi e del mondo.