Abstract
Partendo dal confonto tra il Libro rosso di Jung e la trilogia di Memoria del futuro di Bion, l’autore propone l’ipotesi che, analogamente a quanto avviene per la personalità individuale – dove l’eruzione di esperienze sommerse ci confronta con l’affiorare di parti della mente non completamente nate, o precocemente abortite, per il fatto di non aver trovato spazio per esistere dentro la mente dell’oggetto – sembrano esistere anche modelli e teorie che, non avendo trovato sufficiente spazio nella mente di Freud e dentro la mente della comunità scientifica da lui creata, sono sprofondate in sotterranei e catacombe della concettualizzazione psicoanalitica.
Nella riflessione junghiana sembra che siano così affiorati quei contenuti scissi o dissociati, e sommersi nel pensiero freudiano originario, che anticipavano i più attuali sviluppi della psicoanalisi: una ulteriore prospettiva sull’inconscio che, accanto all’essere costituito dal deposito di ricordi infantili rimossi, poteva affacciarsi sull’infinito (Matte Blanco, 1975), essendo animato da una pulsione alla verità (Bion, 1977b), da una pulsione alla rappresentazione (Bollas, 2009) e da una pulsione alla conoscenza (Ogden, 2011). Continua a leggere