Transiti corpo-mente. L’esperienza della psicoanalisi
A cura di Basilio Bonfiglio
FrancoAngeli 2014
Il volume, a cura di Basilio Bonfiglio, racchiude l’evoluzione del pensiero di Carla De Toffoli. I capitoli sono basati su precedenti pubblicazioni dell’Autrice. Nei sentieri del volume troviamo casi clinici, coraggiosi avanzamenti teorici ed esperenziali, complesse e originali riflessioni sulla validità e potenzialità del metodo psicoanalitico.
Prima di soffermare l’attenzione sui punti salienti del testo, volevo riportare le parole del Dott. Paolo Tranchina e di altri colleghi che hanno lavorato con l’Autrice i quali la descrivono così:
“Carla aveva la capacità, fuori dal comune, di capire il paziente, soprattutto pazienti psicotici, aveva una raffinata sensibilità relazionale, aveva il potere risolutivo delle crisi psicotiche, anche le più gravi. Stando vicino al paziente in crisi, sempre alla distanza giusta, prendeva come dentro di sè la sua follia, la lavorava internamente, la digeriva, la trasformava e la restituiva all’altro come cibo, latte integrabile. Aveva la straordinaria capacità di rendere intellegibile ciò che era dissociato, di restituire all’ordine del senso la dimensione abitata dal non-senso, di rendere condivisibile la follia.”
Già nelle prime pagine del libro, si intuisce l’essenza dell’opera complessa e affascinante di una psicanalista di grande rigore scientifico.
L’Autrice adopera uno stile di scrittura particolare, che non cerca di attirare la razionalità del lettore ma la sua esperienza emotiva.
Questo perché rivolgersi solo alla consapevolezza razionale, su questioni che riguardano la psicanalisi, fa correre il rischio di isterilire, formando sovrastrutture di pensiero, quelle che Bion definisce paramnesie, utili a colmare l’angoscia del non sapere, mentre un linguaggio allusivo entra più facilmente in contatto con l’universo emozionale dell’ascoltatore, conduce ad una conoscenza attraverso l’ intuizione (Bion, 2005).
Rispetto a questo modo di scrivere, che il lettore probabilmente troverà arduo e difficile da decifrare, l’Autrice scrive: “preferisco mantenere un linguaggio aderente all’ esperienza soggettiva con il suo alone semantico, attraverso cui possono filtrare aree dell’esperienza non ancora verbalizzate e verbalizzabili, malgrado i loro tortuosi percorsi” .
In alcuni passi del libro si sente l’importanza di svincolarsi dalla comunicazione verbale, cosa che appare necessaria di fronte a determinati pazienti, che hanno particolari modalità di esprimersi. Un caso che desta attenzione è quello di un paziente che passa tutto il tempo delle sedute dormendo.
Questo caso mi è sembrato emblematico della capacità preziosa dell’ Analista di sopportare la frustrazione del non sapere, di tollerare il modo d’essere del paziente, rispettando il qui ed ora della seduta, soffermandosi su quello che l’analizzando porta nella stanza d’analisi, senza desiderare che faccia altro, senza chiudersi in preconcetti, in veloci e facili interpretazioni.
In questo, possiamo sentire l’eco del pensiero di Bion, “senza memoria e senza desiderio” atteggiamento mentale che permette all’analista di rimanere in una situazione di mancanza di certezze e cercare di non saturare e bloccare la condizione del paziente con l’attribuzione troppo precoce di significato.
Questo ci invita a riflettere sul fatto che “ la tolleranza dei limiti del non sapere è molto più fertile di qualsiasi conoscenza apparentemente solida e di altre rassicurazioni superficiali” (Neri, 2002).
Attraverso la descrizione di questo caso clinico, ma anche di tanti altri, l’Autrice ci permette di stare e di sentire “ quell’esperienza che sospende le abituali forme del pensiero, di dar voce a quei fatti clinici che non sono pensabili usando le categorie di cui abitualmente si serve la nostra mente, di prendere consapevolezza e di percepire particolari canali di comunicazione abitualmente obliterati e misconosciuti.”
Questi canali mi sono sembrati punto cruciale del suo pensiero teorico e clinico, quello che potremmo definire il suo corollario : l’area non verbale della relazione tra paziente e analista con i suoi fenomeni di fusione, identificazione e risvolti somatici.
L’interesse dell’Autrice sta proprio in questo livello di legame, molto intenso e meno controllabile rispetto al pensiero evoluto e simbolizzato e per questo richiede una presa di coscienza che include in pieno l’analista, affondando le radici dove i confini dell’ Io e del Tu non sono chiaramente distinguibili.
Il testo, come possiamo dedurre dal titolo, prende in considerazione soprattutto gli scritti dell’Autrice che vertono sulla relazione mente e corpo, una relazione complessa e affascinante ancora aperta al dubbio, che attraversa gran parte dell’esperienza psicoanalitica di Carla De Toffoli.
L’autrice considera e presta attenzione ad entrambi le dimensioni del paziente, in modo singolare e innovativo, la sua riflessione teorica è uno sguardo profondo e intimo alla psiche e al corpo, un’ attenzione interessata agli elementi che si manifestano grazie e attraverso il corpo. Un corpo molto mentale, una “ materia che assomiglia sempre di più a un pensiero” (De Toffoli, 2007).
È un corpo che ha una dignità di pensiero organizzato anche se non simbolico, un corpo che pensa e si relaziona, che coordina i movimenti più raffinati, che si costituisce come un precipitato di relazioni, esattamente come ciò che siamo soliti chiamare mente, e i cui movimenti sono direzionati non solo all’interno del soggetto, ma mostrano anche una componente relazionale, esattamente come i movimenti mentali (Solano, 2010).
Carla De Toffoli, non attribuisce al corpo uno statuto inferiore rispetto alla mente, riducendolo semplicemente ad un contenitore di emozioni non elaborate, al luogo di ciò che non è stato ancora mentalizzato.
L’Autrice ipotizza un sapere sconosciuto del corpo che si organizza in funzione della sopravvivenza psichica.
Il corpo sembra avere un proprio codice di elaborazione dell’esperienza, capace di tradurre la dinamica affettiva primaria nel linguaggio dei sintomi. Un linguaggio che spesso risulta essere funzionale.
Il riferimento al corpo appare centrale nel pensiero dell’Autrice, secondo la quale estendere l’oggetto e il soggetto della psicoanalisi al corpo non è solo rilevate teoricamente ma soprattutto clinicamente necessario (De Toffoli,, 2011).
Clinicamente questo è possibile riconoscendo gli elementi sensoriali, le funzioni e il linguaggio del corpo come potenziali forme per il significato e considerando il loro status come precursore della rappresentazione (ibidem).
De Toffoli parte dalla considerazione che il corpo e la mente non rappresentano due sostanze, ma due modi di sperimentare la complessità e la realtà multidimensionale della vita umana. Manifestazioni psichiche e somatiche sono semplicemente due modi di rappresentare la stessa cosa, tutto dipende dal vertice dal quale si guarda.
Il lavoro clinico e teorico di De Toffoli mi è sembrato un invito a riflettere sulla reversibilità delle prospettive con cui si guarda un fenomeno che si presenta in seduta.
Bion proponeva qualcosa di simile “ Picasso dipinse un quadro su una lastra di vetro, in modo che potesse essere visto da entrambi i lati. Vorrei suggerire qualcosa di analogo: Guardate da un lato, c’è un dolore psicosomatico. Giratelo, ora è somatopsichico. E’ lo stesso, ma ciò che si vede dipende dal modo in cui lo si guarda, dalla direzione in cui si sta viaggiando. (Bion, 1987)
Nella riflessione psicoanalitica contemporanea, al corpo viene spesso riconosciuto un ruolo marginale, a volte inesistente, nonostante contributi di grandi Autori come Freud e Bion.
Per questo motivo si è creato un concetto di mente sempre più separato e indipendente dagli aspetti biologici soggiacenti.
Carla De Toffoli invece vuole dimostrare l’ipotesi che lo sviluppo della mente e del corpo sia concomitanti e paralleli fin dalla vita intrauterina.
Il corpo si trova fin dal concepimento all’interno di un sistema psicosomatico, le cui vicende, compresi i cambiamenti evolutivi legati alla crescita, vengono percepite, intenzionate ed in qualche modo elaborate con attribuzione di significato della madre, che costituisce il mondo esterno e l’unica possibilità interpretativa di tutto il sistema.
La madre è l’ambiente in cui il corpo si è formato ed in cui abbiamo cominciato ad esistere. E’ fondamentale per abitare ogni parte del corpo, per assumere tutte le funzioni del corpo, le emozioni sconosciute, per riconoscersi e sentirsi un’unità e come organismo reale essere riconosciuto da un altro (De Toffoli, 1991).
E’ necessario dunque che l’unità psiche-soma sia iscritta in una dinamica io – tu, in cui sia l’io che il tu, vengano esperiti in entrambi le dimensioni: somatica e psichica (De Toffoli, 2003).
La seduta psicoanalitica è un posto privilegiato per imparare a lavorare su queste due dimensioni: l’area di gioco tra due persone offre la possibilità di significazione affettiva o di incarnazione somatica dei reciproci vissuti, emotivi, psichici o corporei che siano.
Durante il processo analitico entrano in gioco anche le sensazioni corporee, i vissuti emotivi dell’analista, che ha una grande quota di responsabilità nei confronti del paziente.
Tutto questo viene esemplificato egregiamente in un racconto di una paziente che sogna il vissuto di angoscia della sua analista, che le arriva sottoforma di elementi beta, quindi sottoforma di elementi corporei e sensoriali.
Il metodo analitico offre l’opportunità che un evento conosciuto come somatico venga conosciuto anche come psichico, rendendo visibili contemporaneamente due volti della stessa realtà umana che denominiamo psiche-soma.
La relazione di transfert offre agli eventi somatici un luogo dove possono essere concepiti come forme potenziali di linguaggio emotivo ed evolvere fino ad assumere un’esistenza autonoma dal corpo del pensatore, una volta espressi in parole.
Un evento del proprio corpo, grazie alla funzione psicoanalitica, diventa un oggetto che si estende nel campo del senso, del mito e della passione.
L’espansione del sintomo psicosomatico nel campo del senso fa sì che l’oggetto introdotto nel campo analitico appaia nel suo significato psichico in modo percepibile ai sensi, sia cioè visto, udito, o comunque somaticamente vissuto dall’analista ed, auspicabilmente, anche dall’analizzato attraverso l’interpretazione.
Secondo Bion, grazie a questa espansione, si può avere una percezione sensoriale di “qualcosa in cerca di esistenza”, di “una psiche che cerca una dimora fisica che le dia esistenza”, di una materia che cerca una psiche che le dia significato, con una consapevolezza che ha la natura del tropismo. Con questo termine Bion intende la ricerca che fa un elemento insaturo per diventare saturo, per essere in qualche modo definito.
L’estensione nel campo del senso è’ dunque un inno alla Materia di cui siamo fatti, alla corporeità della Psiche.
Il sintomo psicosomatico grazie alla funzione psicoanalitica si estende nel campo del mito, ha la possibilità di avere un modello cognitivo per esplorare l’ignoto.
Il mito nel contesto della seduta psicoanalitica rappresenta “ il terreno su cui far germogliare un seme che racchiude potenzialità di sviluppo e che contiene verità trasformative” (De Toffoli, 2002).
Il campo del mito è sostenuto e promosso da “ una mente metaforica”, funzione del Sé, capace di unificare il comprendere intellettuale con il sentire, e di tradurre questa integrazione organica in metafore vive.
La funzione metaforica della mente apre il nostro pensare a nuove categorie e consente di ricreare immaginativamente la propria storia e il proprio mondo relazionale con nuovi significati.
L’estensione nel campo della passione indica che le capacità affettive e cognitive attivate nel contesto della seduta psicoanalitica, vengono sperimentate da entrambi le parti con intensità e calore. La passione è la prova del fatto che le due menti sono legate, l’analista è così implicato nel grido, nel bisogno, nell’orrore o nel mistero di quello oggetto, che una comprensione, una “cura” vengono trovati per entrambi.
La sequenza non serve tanto ad eliminare un sintomo (anche se questo spesso avviene) permette soprattutto di creare nuovi significati, di allargare il campo e le capacità della mente.
Tutto questo può essere possibile se vediamo i sintomi somatici come segnale d’allarme, movimento evolutivo e soprattutto comunicativo, se ci interessiamo al corpo e non solo alla psiche.
Spesso può capitare che i sintomi somatici, come nel caso dell’ovarite acuta e i disturbi uditivi, di alcune pazienti, possono essere attribuiti alle dinamiche relative alla relazione con l’analista, alla comunicazione riguardante il campo analitico.
Vediamo come nel primo caso il sintomo si è manifestato dopo che l’analista non era ancora pronta a “concepire” la paziente; nel secondo caso clinico, il disturbo all’orecchio si è manifestato dopo un disagio nei confronti dell’analista.
Questo testo, e dunque Carla De Toffoli, ci dà l’opportunità di vedere come il metodo analitico rappresenti un luogo di osservazione privilegiato dei processi psichici e somatici della coppia analitica, dei loro transiti e delle loro trasformazioni.
Un metodo che unisce conoscenza e cura, che conosce non tramite definizioni ma tramite trasformazioni vitali.
In quest’ epoca di sofisticate , costose ed a volte schiaccianti attrezzature tecniche, può essere utile e meraviglioso assieme, ricordare che due menti al lavoro, senza nessun altro strumento che la scienza e l’arte del metodo psicoanalitico, possono esplorare, costruire e trasformare mondi (De Toffoli, 2003).